Trent’anni di «Solitudine»: il paroliere Federico Cavalli racconta la genesi della «signature song» di Laura Pausini

Romagna | 05 Febbraio 2023 Cultura
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Federico Savini
«La canzone l’avevano già provata altri interpreti, ma quando quella ragazza, così giovane, la cantò in studio, davanti a noi che l’avevamo scritta, beh, devo dire che fu un’emozione grande. Laura Pausini sembrava “vivere” dentro quel pezzo. Capimmo al volo che era una magia. Però, da qui a pensare al successo che sarebbe arrivato ce ne passava. Un conto è “funzionare”, un altro è “entrare nella Storia”». Lo rivendica con aria divertita e almeno un po’ sorniona, ma si sente dal telefono che Federico cavalli è orgoglioso – tanto più a trent’anni di distanza, quelli che dimostrano se una canzone regge alla prova del tempo – di essere l’autore del testo de La Solitudine, la canzone di Laura Pausini che conoscono anche i sassi, quella che alla giovane cantante di Solarolo permise di spiccare il volo proprio trent’anni fa, vincendo tra le novità del Festival di Sanremo con un brano che - come direbbero gli americani -, oggi è indiscutibilmente la sua signature song.
Tanto che Laura Pausini festeggerà proprio il trentennale di una carriera straordinaria con due concerti, appena annunciati, non meno straordinari. La cantante romagnola ha infatti annunciato un prossimo tour mondiale che la porterà per la prima volta a Siviglia (il 21 luglio) ma soprattutto a Venezia, in piazza San Marco il prossimo 30 giugno.
Tornando a La Solitudine, il brano in realtà ha altri due autori. Quello delle musiche, insieme alle parole di Federico Cavalli, è Pietro Cremonesi, al quale per la parte compositiva finale si è aggiunto il veterano Angelo Valsiglio, che nello staff che lavorò alla canzone (e alla primissima fase della carriera di Laura Pausini) affiancava il produttore Marco Marati.
«Valsiglio e Marati erano professionisti e veri esperti del mondo discografico - ricorda Federico Cavalli, a trent’anni di distanza -, mentre Pietro ed io facevamo altri lavori, che per esempio io continuo a fare in campo pubblicitario. Pietro invece lavorava come programmatore all’Ibm ed era un compositore autodidatta».
E la sua esperienza come paroliere?
«All’epoca era quasi più un vezzo che una vera “esperienza. Come copywriter ovviamente amo scrivere e mi dilettavo a farlo anche sulle canzone, specie dopo aver conosciuto Pietro nel circuito delle edizioni musicali milanesi. Sarà stato il ’91, avevamo entrambi qualche esperienza musicale precedente ma di stampo tutto sommato dilettantesco. In pratica componevamo brani e li portavamo in giro per case discografiche».
Come andò con La Solitudine?
«Dopo averlo ascoltato, Marati pensò che avesse le carte in regola per le nuove proposte di Sanremo, ma occorreva un’interprete. Era Marco Marati che conosceva Laura Pausini, credo attraverso il padre, e probabilmente l’aveva già vista al festival di Castrocaro. Quando la cantò lei, capimmo subito che era quella giusta».
Che aspettative c’erano?
«Ad essere onesti, sottoponemmo La Solitudine a diverse case discografiche ma l’unico interessato su Fabrizio Giannini, direttore artistico della Cgd. All’inizio doveva essere il brano di un altro cantante…».
È vero che inizialmente la canzone non era rivolta a Marco ma a una certa Anna?
«Verissimo, era Anna che se ne andava, certo che sì! Del resto, era una canzone scritta da due uomini per un donna. Solo che Laura, a quel tempo, stava davvero con questo Marco, e la sua situazione sentimentale combaciava davvero molto con il testo. Credo sia stato proprio un incontro del destino quello tra lei e la canzone».
Cosa ricorda del Sanremo ‘93?
«Per me era una cosa enorme, non posso immaginare cosa sia per chi si esibisce. In passato avevo scritto alcuni pezzi per bambini e in dialetto milanese, fino a poco tempo prima neanche pensavo di essere un autore adatto alla musica pop, figuriamoci a Sanremo! Quindi io avevo già vinto a partecipare. Il successo della canzone ci travolse nel giro di poco. In gara non stravinse, superando di poco l’altrettanto esordiente Gerardina Trovato, in un’edizione delle nuove proposte in cui gareggiava pure Nek! Ma il pubblicò impazzì per La Solitudine, funzionò da subito. Credo sia ancora un bell’esempio di pop melodico strappacuore, un’appendice dello stile del grande Giancarlo Bigazzi, che ho amato molto come autore per Tozzi, Masini e l’elegantissio Raf. Che tra l’altro poi duettò con Laura Pausini in un altro brano del disco».
Era pronto l’album?
«No, un successo simile non era previsto, quindi costruimmo il disco al volo. Anche Non c’è lo scritta insieme a Pietro e con la collaborazione di Valsiglio. Riuscimmo a scrivere queste dieci canzoni dall’umore adolescienziale, noi che stavamo già sui trent’anni».
Il vostro rapporto con Laura Pausini si interruppe lì?
«Sì, ma solo quello professionale. Poi sono subentrati altri autori, anche per questioni contrattuali. C’è da dire che l’imprinting era chiaro e anche Strani amori, che seguì, è una specie di continuazione de La Solitudine. Anche Pietro ed io avevamo un bel pezzo da proporle, ma non se ne fece nulla. Comunque i rapporti non si sono affatto chiusi, sono sempre in contatto con Fabrizio Pausini e solo tre anni fa, al Forum di Assago, Laura ha chiamato sul palco Pietro e me, per presentarci ai fan!».
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