IL CASTORO | Copiare in classe al tempo dell’Intelligenza Artificiale
Ginevra Fabbri
L’intelligenza artificiale (IA) sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nella nostra vita quotidiana, e il contesto scolastico non fa eccezione. Eppure, in base a un sondaggio anonimo, che ha coinvolto 330 studenti di tutti gli indirizzi del liceo Torricelli-Ballardini, è emerso che, per copiare durante le verifiche si usa ancora il buon vecchio bigliettino. Lo studente medio, invece, ricorre regolarmente all’IA per svolgere i compiti a casa o preparare discorsi per le interrogazioni, evidenziando una nuova tendenza nell’approccio allo studio. Il 42,4% degli studenti del liceo ha copiato almeno una volta usando l’IA, secondo i risultati del sondaggio.
La redazione de Il Castoro ha chiesto una riflessione su questi dati a Elena Rovelli, coordinatrice del liceo scientifico sportivo e scientifico tradizionale, indirizzo quest’ultimo in cui la percentuale degli studenti che ha copiato con l’IA sale al 56,5%.
Si aspettava questo esito dai sondaggi?
«In base alla mia esperienza gli studenti si sono sempre ingegnati per copiare, utilizzando metodi creativi e fantasiosi, sempre ricorrendo agli ultimi ritrovati tecnologici. Quindi sì, mi aspettavo un risultato del genere».
Il 56,5% è più di uno studente su due, una percentuale piuttosto alta. Come la spiega allo scientifico tradizionale? Perché, secondo lei, gli studenti fanno uso dell’IA?
«Le percentuali mi sembrano consistenti in tutti gli indirizzi. È innegabile che gli studenti dello scientifico, che non è affatto ‘tradizionale’, come si suol dire, ma è al contrario un indirizzo al passo coi tempi, hanno sempre dimostrato spirito di iniziativa e di saper cogliere le novità. Va anche rilevato che la maggioranza dichiara di farne uso soprattutto per i compiti a casa, in parte perché I’IA aiuterebbe a comprendere meglio i concetti, quindi utilizzandola come strumento di confronto e approfondimento. Questo mi pare uno spunto interessante, poiché l’intento va ben oltre la semplice copiatura».
Fino ad ora l’IA le era sembrata un problema?
«L’IA di per sé non è un problema. Come qualsiasi innovazione (pensiamo alla televisione “cattiva maestra”, al cellulare, alle potenzialità della rete e così via) può essere problematico il suo utilizzo. L’IA è uno strumento formidabile in molti campi e potrebbe rivelarsi utilissimo anche nella didattica. L’evoluzione tecnologica ci pone sfide costanti e ravvicinate a cui anche i docenti devono rispondere. Chiedere all’IA la traduzione di un testo latino confrontandolo con la propria, di produrre un’immagine che illustri un ambiente storico o scientifico individuandone poi le inesattezze o le imprecisioni, prendere appunti da inserire in un prompt che sviluppi un verbale o riordini i contenuti di una lezione: queste e altre indicazioni potrebbero aiutarci a introdurre proficuamente I’IA nelle nostre lezioni».
Lei come ha visto cambiare, durante gli anni, l’approccio degli studenti al digitale? Vi ricorrono più disinvoltamente per copiare?
«Con i primi cellulari gli studenti cercavano sulla rete principalmente la traduzione di una versione. I meno esperti la riproponevano identica, consentendo al docente una facile individuazione della fonte digitale; i più abili la modificavano con elementi personali, che se coerenti dimostravano una certa conoscenza della disciplina (anche copiare è un’arte, si diceva). Anche ritirando i cellulari, restavano pur sempre gli irriducibili che se ne portavano addosso uno o più di riserva. Ultimamente, con l’evoluzione delle strumentazioni, sono comparsi sul mercato a prezzi abbordabili oggetti che facilitano questo compito».
Mini telecamere inserite in ciondoli, occhiali, penne biro che consentono di fotografare il testo di una verifica che, spedito a un insegnante privato, viene risolto e dettato da casa allo studente mediante microscopici auricolari. Se potesse fare una previsione per il futuro, come crede che evolverà questo fenomeno?
«L’insegnante non è un poliziotto e non è suo compito perquisire gli studenti. Non possiamo d’altra parte pensare che il fenomeno della copiatura si esaurisca col tempo, visto che avremo a disposizione strumenti digitali sempre più sofisticati. Credo quindi che le strade da percorrere siano due. Una riguarda la tipologia di verifiche da proporre: le prove dovranno tener conto dello specifico percorso didattico svolto e del dialogo emerso in classe, mirare alla dimostrazione delle competenze acquisite, favorendo il confronto e la riflessione personale. A queste verifiche più strutturate dovranno affiancarsi quelle formative, che terranno conto del percorso di apprendimento del singolo e della sua interazione col gruppo classe. La valutazione deve tenere conto della persona con tutte le sue valenze, eliminando la famigerata ansia da prestazione, fenomeno su cui anche i genitori dovrebbero attentamente riflettere. La seconda strada conduce direttamente allo studente e alla valorizzazione del suo senso di responsabilità: ogni ragazzo dovrà sentirsi accolto e nello stesso tempo protagonista, fiero di rialzarsi dopo una caduta. Se gli educatori sapranno far comprendere anche la bellezza di un insuccesso, non sarà più così necessario nascondersi dietro lo schermo di una copiatura».