Riccardo Isola - In Romagna quando si parla della sfumatura in rosa la prima cosa che viene in mente è sicuramente la notte adriatica. Ma non c’è solo questo evento di punta dell’estate litoranea che può fregiarsi di questa sfumatura gustosa, frizzante e divertente. Da Rimini all’imolese, infatti, anche la viticoltura ha da qualche tempo provato a misurarsi con questa tinta enoica, raggiungendo anche ottimi risultati. Non siamo forse ancora ai livelli del Garda (Chiaretto di Bardolino, Valtenesi Chiaretto), dell’Abruzzo (Cerasuolo) o della Puglia (Salice Salentino e Castel del Monte) ma la strada sembra essere quella giusta.
Prima di tutto, però, sfatiamo un mito errato: il vino rosato, salvo esempi legati alla variante spumantistica, non è una miscela tra vino bianco e vino rosso. Farlo è vietato dalla legge. Per poter ottenere questa particolare e sensuale tipologia enologica si possono utilizzare quattro diverse vinificazioni: con macerazione parziale delle uve (svinatura eseguita appena raggiunto il colore desiderato, in questo caso vengono chiamati anche «vini di un giorno» o «vini di una notte»), con tecnica di vinificazione in bianco (limitato contatto del mosto con le bucce), salasso dei mosti (con prelevamento di mosto poi vinificato in bianco) oppure per criomacerazione (utilizzando basse temperature per il mosto in fermentazione). Da qui un altro mito da sfatare è quello che il vino rosé, come viene definito dai francesi, non sia predisposto all’invecchiamento, ci sono esempi che lo smentiscono.
Tornando in regione la produzione di questa variazione cromatica e organolettica è molto varia, per località se ne contano un centinaio (fonte vino-online.it). E non parliamo solo del celeberrimo Lambrusco (il Sorbara in rosa è una chicca enologica da tenere in cantina), ma abbiamo sempre crescenti presenze in bottiglia legate anche a vitigni più corpulenti come il Sangiovese, il Centesimino e lo stesso portento della Bassa Romagna, il Bursòn (Uva Longanesi).
La caratteristica organolettica di queste tipologie di vino è chiara e semplice: facile bevibilità, freschezza, acidità, tannini leggeri, complessità di profumi e aromi quasi sempre tendenti al fruttato (molti i sentori di agrumi) e al floreale.
La temperatura migliore per poterli degustare è quella compresa tra i 10 e i 12°. Ma attenzione perché questi vini, proprio grazie alla possibilità di essere bevuti anche molto freschi, possono giocare un brutto scherzo visto che hanno un grado alcolico quasi sempre compreso tra i 12,5% e i 13,5%. Quindi non così basso, che se poi scendiamo verso la Puglia (Negroamaro, primitivo o Aglianico) può arrivare fino ai 14,5%.
I vini rosé tendenzialmente si possono abbinare con tutto, dall’aperitivo agli antipasti fino ai secondi piatti. A questo punto non resta che sbizzarrirsi sognando sorsi di vini «di una notte», magari proprio di mezza estate.
Salute.
Alcuni testimoni in calice locali
Come si diceva anche in Romagna la produzione del vino rosato sta prendendo sempre più piede in ambito produttivo. Una crescita di interesse che sta andando di pari passo con l’innalzamento qualitativo dei prodotti.
Di seguito ne riportiamo, in ordine alfabetico per azienda, alcuni esempi recensiti dalle più importanti guide enologiche italiane. Tra i testimoni in rosé abbiamo «Cipria» della cantina di Stefano Berti di Forlì ottenuto da uve Sangiovese, il «Rosalaura» di Colombarda di Cesena anch’esso proveniente da Sangiovese, il «Barbarossa rosato» della Fattoria Paradiso di Bertinoro realizzato con l’omonima uva Barbarossa, il «Rosa di Ceparano» della Fattoria Zerbina di Faenza creato da un blend tra Sangiovese e Syrah, il «Esor» del Fondo San Giuseppe di Brisighella ottenuto con uve di Moscato rosa e Chardonnay. Ed ancora il «Prèdio Gran Rosé Dry» della Merlotta di Imola creato utilizzando Pinot noir, al «Morosé Brut» del Podere Morini di Faenza con uve di Centesimino, lo «Scabi Rosato» di San Valentino di Rimini che ritorna al Sangiovese, il «Villa Zappi» della Tenuta Casali di Mercato Saraceno (Fc) sempre di Sangiovese, il «Rosanita Brut Rosé» della tenuta Saiano di Poggio Torriana (Rm) di Sangiovese e il «Vensamè ancestrale» di Tenuta Santa Lucia di Mercato Saraceno (Fc) anche questo da uve Sangiovese.