Sandro Bassi - Non si è fatta attendere la replica della Federazione Speleologica alla decisione della Regione di commissionare l’ennesimo studio in merito alla cava di Monte Tondo. Cava che fu aperta nel 1958 e che in sessant’anni di attività (prima a gestione Anic poi Saint-Gobain) ha ridotto ad un torsolo di mela la spalla gessosa in destra Senio, sopra Borgo Rivola. «Se un tempo c’erano solo gli interessi economici, oggi esistono norme di tutela dell’ambiente - spiega Piero Lucci, della Federazione -, in particolare delle grotte, degli habitat ritenuti di prioritario interesse da parte dell’Unione Europea, del paesaggio da parte del Ministero per i Beni ambientali e del “geosito regionale Vena del Gesso”; inoltre, fin dal 2005 esiste il Parco, a protezione dell’affioramento gessoso più importante d’Italia e che anzi è stato candidato per il riconoscimento Unesco».
Lo studio prevede un incarico plurimo, affidato a tre soggetti esperti in valutazioni di impatto ambientale (la ravennate Servin, la bolognese Silva e la forlivese Sterna, quest’ultima specializzata sulla fauna), ad un geologo faentino, Stefano Marabini e ad un’archeologa bolognese, Paola Poli. La Federazione peraltro non contesta la professionalità degli incaricati - anzi teme che vista l’esiguità del compenso (39 mila euro in tutto) non si possa approfondire alcunché - ma che si tratti di un espediente per rimandare la decisione.
«Regione ed enti locali possono commissionare tutti gli studi che vogliono - prosegue Piero Lucci - ma non possono venir meno a quanto stabilito in quelli precedenti. In particolare l’ultimo, commissionato nel 2001 all’Arpa (Agenzia regionale prevenzione e ambiente) e recepito nel formulare i piani di attività estrattiva, stabiliva due limiti: all’area destinata all’estrazione e al quantitativo massimo estraibile, stabilito in 4 milioni e mezzo di metri cubi di gesso; questi limiti garantiscono l’attività per un tempo (stimato al 2032) sufficiente a riconvertire il polo produttivo presente a Casola Valsenio, dopodiché l’attività dovrà cessare. Vent’anni fa ambo le parti condivisero un patto e quello va rispettato. Se ora la multinazionale che gestisce la cava chiede un’ulteriore espansione viene meno a quel patto».
A fianco della cava la cresta gessosa prosegue in direzione sud-est (verso Monte Mauro per intenderci) ancora integra, dando vita agli affioramenti di Monte della Volpe che sono naturalisticamente preziosissimi, con boschi di quercia e carpino e rupi incontaminate, punteggiate da lecci e altri elementi di vegetazione mediterranea.
«Fino ad oggi gli enti locali non hanno obbiettato nulla - conclude Lucci - evidentemente perché non reputano prioritaria la salvaguardia di un bene comune qual è la Vena del Gesso romagnola, ma ritenere la distruzione dell’ambiente una risposta inevitabile alle necessità locali è un errore, e segno di un degrado culturale che considera natura e paesaggio come beni di consumo da sfruttare».