Piangipane, Gianluca «Fogliazza» porta in scena al Socjale la storia del liscio
Federico Savini
«Credo che il diritto al ballo dovrebbe essere sancito dalla Costituzione. In questi anni di lavoro sul liscio ho scoperto che si tratta non solo di un bisogno fisico irrefrenabile per tantissime persone, ma anche di una manifestazione identitaria fortissima, sui livelli della gastronomia e del dialetto». Per essere un emiliano, Gianluca Foglia «Fogliazza» è decisamente uno che ha capito quale sia stato il valore del ballo di coppia nella Romagna del liscio, tanto più che l’Emilia da cui proviene il vignettista del parmense che leggete da anni su queste pagine (e non solo su queste) arriva da un territorio che non solo conosce il valzer da almeno tanto tempo quanto la Romagna (vedi almeno l’epopea proletaria dei Violini di Santa Vittoria) ma che probabilmente lo sta celebrando con più cura e creatività. Lo testimonia proprio Nel ventre della balera, romanzo illustrato che nasce da un progetto finanziato dalla Regione Emilia Romagna e che è diventato uno spettacolo, per la prima volta in scena in Romagna il prossimo sabato 18 novembre, alle 21.30 al teatro Socjale di Piangipane.
«Grazie alla Fondazione Entroterre è nato il progetto, che oggi arriva in Romagna, da dove saremmo voluti partire - racconta Fogliazza -. Io ero e sostanzialmente resto un profano del ballo liscio, ma la storia di questa musica mi ha rapito, soprattutto per come riesce a raccontare la società e il popolo».
E infatti l’impressione è che tu abbia voluto soprattutto raccontare un’emozione popolare. E anche l’atto rivoluzionario di un popolo attraverso il ballo, con personaggi di fantasia che però somigliano così tanto a quelli reali…
«La cosa più bella, al termine degli spettacoli, sono gli aneddoti che il pubblico viene a raccontarmi. Ci sono tantissime storie che ricordano quelle di Gerundio e dei personaggi che si muovono nel crocevia inventato di Castelmauro. Le donne di solito sono più espansive, nonostante il liscio le abbia per tanti versi discriminate, ma mi confidano che faticano a trovare ballerini. E leggi nei loro occhi cosa rappresenta il ballo per loro».
Se dovessi sintetizzarlo?
«Il diritto ad essere felici. Una passione che è un vero rituale di innamoramento, con più di qualcosa di antropologico alla base. Per queste persone il ballo è diventato una leva per riscattare un diritto inalienabile. Anche se la differenza l’hanno quasi sempre fatta i musicisti colti, stupisce che in Romagna suonassero tantee persone con nessuna erudizione. Non è un caso».
Lo spettacolo come funziona?
«Ho imparato a memoria lunghe porzioni del libro, che recito, cantando anche un po’, mentre disegno volti e oggetti inevitabilmente più stilizzati di quelli del libro. Ma questo aiuta il pubblico a entrare nella suggestione del racconto. E poi c’è la musica suonata dal vivo da Emanuele Cappa, che l’ha composta insieme a Stefano Melone, uno che per capirci produce Cristiano De Andrè e ha collaborato con Fossati e Baglioni. Siamo coetanei e lavoriamo insieme da più di 10 anni, questo aiuta i tempi e l’intesa»
Cosa ti ha colpito della storia del liscio?
«Tantissime cose, che spero di comunicare anche a quei ragazzi che, magari controvoglia, si ritrovano in platea ma devo dire che li vedo uscire con tante curiosità e l’immancabile richiesta di portare con loro i disegni che faccio in scena. Possono chiedermeli tutti! Di sicuro mi hanno colpito molto le “tifoserie” intorno al mondo del ballo, e anche la resistenza che ad esempio la chiesa, ma anche il fascismo, hanno opposto al dilagare di questa passione. È incredibile pensare che cent’anni fa, dopo il lavoro, la gente andasse volentieri a spannocchiare altre due ore perché sapeva che alla fine si ballava e si poteva incontrare la propria spasimata. Anche per questo il ballo ha avuto tanti nemici».
Tecnicamente il tuo è un lavoro di fantasia, ma con tanta Storia dentro…
«Ce ne sarebbe troppa da far stare in 70 minuti, così mi concentro su alcuni personaggi come Don Veto, che rappresenta la chiesa contraria al liscio, e la Prospera, che poi è un tributo alla Gradisca felliniana. Castelmauro è un nome che ho rubato alla squadra di mio figlio alla playstation ed è un crocevia, un punto in cui la Storia passa per forza, tanto che a un certo punto ci passa anche Giuseppe Verdi, uno che magari non “zumpappava” ma conosceva bene la cultura popolare. Credo che venire “da fuori” dal mondo del liscio sia un vantaggio: mi dà grande libertà, sia di inventare che di celebrare una grande storia, senza tifoserie né pregiudizi. A una parte del pubblico cerco di restituire una memoria, a quella più giovane spero di poter sollevare delle curiosità. Credo che se mai i balli di coppia tornassero di moda questo avrebbe effetti sulla demografia. E lo dico come uno che a 50 anni si è iscritto a scuola di ballo e per la prima volta ha provato invidia per quelli che ballano bene!».