IL CASTORO | L’Intelligenza Artificiale ridefinisce l’umano. Ne parlano Pierluigi Contucci, Luca Peyron e Francesco Ghini

Romagna | 06 Giugno 2024 Blog Settesere
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Asia Ronchi
L’IA (intelligenza artificiale) sta cambiando le nostre vite e il nostro modo di relazionarci con gli altri e con gli oggetti. Ci siamo confrontati su questo tema con Pierluigi Contucci, professore di matematica e fisica all’Università di Bologna, che ha scritto recentemente il libro Rivoluzione intelligenza artificiale: Sfide, rischi e opportunità, con Luca Peyron, presbitero diocesano e direttore della Pastorale Universitaria di Torino, e con Francesco Ghini, divulgatore scientifico.
Se diciamo IA la prima cosa che viene in mente, alla maggior parte delle persone, è un cyborg, un’intelligenza artificiale forte, cioè quella che si vede in alcuni film di fantascienza, dove la macchina e lumano sono indistinguibili. L’intelligenza artificiale che si sta sviluppando e che ha raggiunto grandi risultati a partire dal 2008 è invece l’intelligenza artificiale debole. Questo grande sviluppo è dovuto, spiega Contucci, «al crescere della potenza dei calcolatori, che ha permesso di raggiungere una velocità di processamento paragonabile a quella dell’uomo ed è riuscita così ad intrattenerlo, si pensi ad esempio ai giochi virtuali, e alla presenza di grandi basi di dati emessi dagli utenti sul web».
Anche noi cittadini alimentiamo continuamente l’intelligenza artificiale con i nostri dati, sui quali si addestra e che sfrutta, ad esempio, per restituirci su internet contenuti vicini ai nostri interessi. Chat gpt 4, spiega Peyron, «è stato allenato dandogli pagine di testo di cui venivano cancellate delle parole e veniva chiesto alla macchina di indovinarle. A forza di provare, le scopriva e ha imparato statisticamente come le parole stanno insieme. Le parole sono dei segni, i segni sono diventati pixel e la macchina è diventata anche in grado di produrre immagini, comporre musica, disegnare nuove molecole». Un’altra capacità incredibile, racconta, è che «è stata allenata con testi in inglese, poi ha imparato tutte le altre lingue, senza che nessuno gliele insegnasse».
Il punto è che noi non sappiamo esattamente come sia arrivata a farlo, questo è il motivo, per Contucci, per cui regolare l’IA è difficile. Per il professore «un programma che si basa su un sistema di intelligenza artificiale non può essere certificato, cioè non si può dire che funzioni nel modo corretto, perché è uno strumento probabilistico».
L’IA moderna è costruita sulla base delle reti neurali del nostro cervello umano e del nostro sistema di apprendimento. Ci spiega Contucci che «l’apprendimento, per il cervello biologico, è la modifica delle sinapsi fra i neuroni. I neuroni sono i punti di ricezione degli stimoli nervosi e le sinapsi le linee di connessione della rete neurale, che trasferiscono questi stimoli. Quando nasciamo le sinapsi sono casuali, non sappiamo ancora distinguere le immagini che ci si presentano davanti», crescendo distinguiamo gli oggetti, i colori, le persone e i concetti e lo facciamo con una quantità di esempi a dir poco inferiore rispetto a quelle che servono per addestrare l’IA.
Nonostante non conosciamo esattamente il percorso di elaborazione che viene fatto dall’IA per fornire una risposta, Peyron ci fa notare che «l’intelligenza artificiale non è neutra perché non è un motore di ricerca, bensì, un sistema costruito con un set di dati ben definito e con un obiettivo preciso, che sa da dove parte e dove vuole arrivare, semplicemente ogni volta per arrivare da A a B cambia percorso». Definisce, perciò, la tecnologia «un giano bifronte, nel senso che può essere usata bene o male». Questo è il motivo per il quale per Peyron «chi produce, progetta e implementa tecnologia è anche responsabile moralmente di quell’oggetto». Tuttavia, per il docente «l’IA non ha bisogno di un’etica ma di esseri umani che siano umani» e continua: «se trasformiamo la macchina in essere umano, pensandola con caratteristiche prettamente umane, il rischio è che trasformiamo l’umano in macchina».
Definire un’etica è invece necessario per Ghini ma difficile «nella società individualista in cui viviamo, in cui ognuno sta creando la propria etica». Manca, dice, «il concetto di bene comune, esiste ormai solo il bene individuale. Noi dovremmo pensare che tipo di società vogliamo e in base a quella costruire un perimetro, un’etica a cui attenerci. Costa fatica darsi delle regole etiche e ultimamente non siamo più abituati a farlo».
La tecnologia ci fornisce delle risposte in nanosecondi e ciò, per Peyron, ci porta a pensare che tutto abbia una risposta già pronta e preconfezionata, quando molte cose, invece, non hanno risposta. Per il docente «se fai pensare alla macchina e non pensi tu, scopri che non sai più pensare. Ogni volta che deleghiamo impoveriamo la nostra umanità».
Se per muovermi uso continuamente google maps non mi saprò più orientare senza, se per fare una ricerca ci affidiamo a chat gpt non saprò più sintetizzare i concetti e finisce che se il nonno di un nostro amico muore gli scriviamo ti abbraccio e non glielo diamo più dal vivo. Per Ghini «si può utilizzare uno strumento che aiuta, nel momento in cui quella specifica capacità è stata già acquisita, altrimenti si rischia di perdere competenze essenziali». Ciò conduce «a diventare dipendenti da questa tecnologia. Non possiamo permetterci di arrivare nella situazione in cui se non c’è più intelligenza artificiale non c’è più intelligenza».


 
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