IL CASTORO | L’Afghanistan, il paese in cui le donne sono ridotte al silenzio. Intervista a Silvia Redigolo di Pangea
Danila Gabriela
Il 15 agosto del 2021 in Afghanistan, i talebani riconquistano la capitale Kabul. Contestualmente termina il ritiro delle truppe statunitensi dal paese, dopo una permanenza ventennale. Da allora la condizione delle donne è precipitata. Non hanno più diritti, sono viste come un pericolo, come una tentazione.
Grazie a organizzazioni come Pangea onlus è possibile aiutarle insieme alle loro famiglie. Ne abbiamo parlato con Silvia Redigolo, responsabile comunicazione e raccolta fondi.
La situazione in Afghanistan è critica. C’è qualcosa che vorreste far sapere rispetto a ciò di cui parlano i media?
«Dell’Afghanistan non si sente parlare da mesi, potremmo dire dal 2021. È un paese dimenticato, come lo sono le donne, c’è un vero apartheid di genere per cui le donne non godono più neanche dei diritti inviolabili. Ci sono continue restrizioni: non possono lavorare, né uscire di casa da sole, le bambine dopo i dodici anni non possono andare a scuola. L’ultimo decreto dei talebani stabilisce che le donne non possono parlare in pubblico, né pregare ad alta voce. Tutto questo di fronte a una comunità internazionale che non presta più attenzione alla situazione afghana, perché distratta da varie guerre e crisi internazionali. Nonostante nel 2021 tutti avessimo promesso di non dimenticare e abbandonare le donne afghane, al momento sta succedendo il contrario. Loro però continuano a resistere e ad esistere, così come il progetto di Pangea».
L’ultimo decreto, 35 articoli emanati dal Ministero per la prevenzione dei vizi e la promozione delle virtù, vieta alle donne di far sentire la loro voce in pubblico. Com’è possibile essere arrivati a questo punto?
«Purtroppo in ogni paese esiste ancora una cultura patriarcale, che porta a situazioni estreme, come in Afghanistan. In Italia, ogni settantadue ore, una donna muore per mano di un uomo violento che la considera una sua proprietà. In Afghanistan la situazione è ancora più grave, perché le donne vengono considerate bestie. Tolgono alle donne qualsiasi diritto tra cui quello di parlare e, negli ultimi giorni, anche la possibilità di pregare. Insomma si sta facendo di tutto per renderle invisibili».
Come vi mettete in contatto o raggiungete le donne che hanno bisogno del vostro aiuto? Che tipo di servizi offrite?
«Pangea ha un ufficio in Afghanistan, ha attiviste e attivisti che non hanno mai smesso di lavorare, per individuare i bisogni delle famiglie più in difficoltà, ad esempio quelle che hanno un capofamiglia donna, perché il marito è disabile o sono vedove e quelle in cui il numero di figli è veramente elevato, a volte si arriva anche a più di dieci. Il paese sta attraversando un periodo di carestia, il 97% della popolazione è a rischio malnutrizione, quindi Pangea ha un progetto di distribuzione di cibo e di beni di prima necessità. Abbiamo una scuola per bambine sorde e stiamo portando avanti assistenza psicologica e sanitaria per le donne».
Chi vi sostiene economicamente? Le donazioni con il tempo stanno aumentando o diminuendo?
«Il progetto vive grazie alle donazioni dei privati, i 10, 20 euro che, uniti a quelli di tutti, fanno la differenza e ci permettono di continuare a lavorare. La gran parte dei donatori, che continua a seguire l’Afghanistan, è affezionata a questa causa e si ricorda la promessa fatta nell’agosto del 2021. Non servono grandi cifre, serve ricordarsi di un paese che è sempre più dimenticato».
Quali sono i maggiori problemi che riscontrate?
«Sono quelli riguardanti l’apartheid di genere. Lavorare in un paese in cui le donne non hanno diritti, dove il maggior sentimento provato è la paura, significa affrontare difficoltà quotidiane. La principale riguarda la comunicazione, perché, anche in Italia, il progetto va protetto con il silenzio. Esporre nei dettagli il nostro lavoro metterebbe a rischio le attiviste, gli attivisti e le beneficiarie, per cui cerchiamo di raccontare il meno possibile».
C’è qualcosa che si potrebbe fare per migliorare le condizioni politiche dell’Afghanistan?
«Con la rielezione a presidente degli Usa di Donald Trump, si perde ancora di più la speranza, perché fu proprio lui, nel 2020, ad abbandonare il paese nelle mani dei Talebani con l’accordo di Doha. Le donne afghane nonostante tutto sono donne molto resilienti. Pangea farà di tutto per rimanere al loro fianco e speriamo che i donatori continuino, a loro volta, a rimanere al nostro fianco. Occorre parlare di Afghanistan, condividere informazioni anche attraverso i social perché tenere alta l’attenzione è l’unico modo per far sì che i talebani non proseguano indisturbati questo apartheid di genere».
Illustrazione di Elisa Laghi