IL CASTORO | La «classicità contemporanea» della scultura di Luca Freschi
Luca De Zordo
«La libertà della foglia che abbandona il ramo è la responsabilità di tornare ogni primavera» scrive il torinese Fabrizio Caramagna. Questa vitalità, quasi malinconica, è la stessa descritta dall’arte di Luca Freschi, classe 1982, artista romagnolo con base a Meldola. Nelle sue opere vediamo foglie appena cadute vicino a guanti di plastica gettati a terra, corna di cervo inerti vicino ai nostri rifiuti, o ancora vasi e capitelli impilati a formare colonne dal ritmo spezzato. Recentemente ha esposto queste creazioni anche presso alcune sedi faentine. Lo abbiamo intervistato riguardo al loro significato e al ruolo dell’arte nel mondo di oggi.
Qual è il tuo percorso artistico?
«Ho frequentato l’istituto d’arte di Forlì, dopodiché ho proseguito il mio iter di studio presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna dove ho conseguito il diploma in Pittura. Considero parte integrante della mia formazione gli studi scultorei, che dopo alcuni corsi complementari frequentati a Bologna ho approfondito a Barcellona con l’esperienza Erasmus, grazie alla quale ho potuto perfezionarmi nella ceramica».
Che tipo di opere produci e quale significato attribuisci ad esse?
«Attualmente la mia ricerca artistica si concentra all’interno del mondo della ceramica, sia attraverso la tecnica del calco, sia attraverso l’integrazione di objets trouvés. Le mie ultime opere, le Cariatidi (sculture totemiche sviluppate in altezza) sono composte da oggetti realizzati ex novo come fusti di colonne e capitelli, alternati da oggetti ritrovati a cui dono una nuova vita».
Sei solito inserire nelle tue creazioni rimandi al tuo territorio?
«Non particolarmente, non reputo fondamentale questa biograficità. Preferisco citare vari elementi classici rivisti in chiave contemporanea, come nei miei Pavimenti d’ombre, in cui rielaboro i modelli di Asaroton greco-romani, mosaici che raffigurano pavimenti con gli scarti dei pasti, detti “non spazzati”».
Le tue opere hanno un risvolto religioso?
«Più che un risvolto religioso le mie opere attingono contestualmente all’aspetto classico e culturale, dove riflessioni legate alla cristianità e al mito diventano punto di partenza per una nuova chiave di lettura di emblemi alla base della nostra quotidianità».
Recentemente hai preso parte alla mostra faentina «Nature In-quiete». Specialmente in questo periodo, come vedi nella tua arte il rapporto uomo-natura?
«L’uomo è natura, noi facciamo parte di questo mondo e non possiamo esimerci dall’ esservi inseriti. Fra le mie opere, ad esempio, ritroviamo panorami di pavimenti abbandonati dall’uomo, non spazzati, dove le foglie verdi appena cadute al suolo alludono alla caducità della vita e alla sua ciclicità, come nelle mie Vanitas, dove ricorrono corna di cervo e capriolo, segni del naturale scorrere del tempo e delle stagioni».
Quanto sta influendo, in questo momento, la chiusura dei musei sul tuo lavoro di artista?
«Sta influendo parecchio, infatti molti eventi che avevo programmato sono saltati, sia eventi di galleria sia fieristici. È un momento non semplice per l’arte».
Per un artista è importante creare un profilo social come hai tu?
«Sicuramente un profilo è come una “vetrina” che può risultare molto utile, specialmente per chi desidera fare dell’arte il proprio lavoro. Non credo sia tuttavia essenziale».
Come può emergere un giovane artista nel mondo di oggi?
«Penso che ogni persona sia un caso a sé stante e che ognuno debba intraprendere la propria strada. Sicuramente credo che serva seguire sempre se stessi, le proprie passioni e i propri amori, senza mai demoralizzarsi ad ogni porta che troveremo chiusa».