IL CASTORO | Farrokh Livani: «L’Occidente non si limiti a dire due parole. Sospenda i rapporti col regime»
Beatrice Ghinassi
Per tanti a Faenza è il signore che vendeva i tappeti persiani sotto la galleria Gessi. Ma Farrokh Livani è molto altro. Intellettuale poliedrico e musicista raffinato, è arrivato da giovane in Italia per studiare e ormai ci vive da 50 anni, pur mantenendo un forte legame con il suo Paese. Quest’anno Il Castoro si è già occupato della rivoluzione in atto in Iran dal settembre del 2022. Abbiamo deciso di tornare a parlare di questo affascinante paese, un tempo chiamato Persia, con Livani.
Ci parla un po’ di lei e di come ha scoperto l’Italia?
«Sono venuto in Italia a 21 anni, con mia moglie, per studiare medicina a Bologna. Ho poi lasciato gli studi medici per laurearmi in scienze politiche. Tra tutti i paesi ho scelto l’Italia per la simpatia che provavo nei confronti degli amici italiani conosciuti in Iran e ho scelto Bologna perché la sua facoltà di medicina era conosciuta per essere una delle migliori al mondo. All’università avevo diversi amici faentini, che mi hanno fatto conoscere la loro città. Mi è piaciuta molto e quando ho deciso di aprire un negozio di tappeti, nel 1989, l’ho fatto a Faenza».
Come pensa che abbia reagito la popolazione di fronte a questa rivoluzione, portata avanti principalmente dai giovani?
«Noi siamo tutti a favore della rivoluzione. Anche i più religiosi, i più musulmani. Nonostante, a volte, la religione possa chiudere la mente di una persona, anche i più ortodossi ora si sono svegliati. Solo una piccola percentuale del popolo sostiene il regime e lo fa per interessi economici, tutti gli altri sono contro. Il popolo iraniano non è mai stati fanatico nei confronti di una confessione religiosa e la religione musulmana è stata imposta agli iraniani. Il vero pensiero iraniano si basa sull’amore e la saggezza, non crede nel dogma».
Oggi si parla di rivoluzione in Iran, ma ce n’è stata una ben diversa, alla fine degli anni Settanta, che ha cambiato completamente il volto del paese. È così?
«Sì, fino al 1979 ha regnato la dinastia Pahlavi. Apparentemente era una monarchia, ma in realtà era più una dittatura. Ecco, la si potrebbe definire una monarchia dittatoriale. In questo periodo la popolazione godeva di molte libertà, ma non di quella politica, e l’Iran era uno dei paesi più ricchi al mondo; alcune persone stavano molto bene, ma c’era anche una forte disparità economica. Questo è stato uno dei motivi che hanno portato al cambiamento e nel ‘79 la monarchia è stata rovesciata dal regime religioso. La gente non era consapevole di ciò che stava avvenendo davvero, pensava che si stesse formando una democrazia, come in altri paesi. Piano piano la componente democratica è stata messa da parte e hanno preso piede altre fazioni aiutate dall’Occidente. Sempre nel ‘79 è stato organizzato un referendum, probabilmente manipolato, in cui si chiedeva alla popolazione se volesse un governo islamico e secondo i dati ufficiali ha ricevuto molti consensi».
Poi che cosa è successo?
«Gradualmente sono stati introdotti molti divieti ed è nato un regime: o si era con loro o contro di loro. In questo secondo caso, si veniva eliminati. I governi che venivano eletti erano tutti corrotti e hanno fatto cose terribili, soprattutto sul versante economico. Hanno rovinato il paesaggio, espropriato industrie, strappato i terreni posseduti legittimamente dalla gente. Dopodiché hanno avviato collaborazioni con il terrorismo internazionale. Tanti paesi dell’Occidente hanno finanziato questo regime, perché era nei loro interessi economici, fino a gettare benzina sul fuoco affinché scoppiasse, tra l’80 e l’88, la guerra tra Iran e Iraq, un business per molti, basti pensare che l’Iran a quel tempo pagava le armi 45 volte il prezzo del mercato. Vennero uccise migliaia e migliaia di persone, soprattutto giovani che combattevano per la patria, non per l’islam, e che andavano al fronte senza essere davvero preparati. La guerra è stata uno dei motivi per cui in Iran è rimasto il regime: in una situazione del genere le persone non avevano interesse a ribellarsi. Inoltre il popolo iraniano è un popolo molto paziente, forse troppo a volte, perciò ha aspettato tanto nella speranza che cambiasse la situazione».
Sostiene queste manifestazioni?
«Certamente le sostengo! Le donne iraniane sono state favolose, eccezionali, hanno cominciato a scendere per strada, a fare sul serio e non si sono ritirate, hanno resistito nonostante tutto, nonostante le violenze. Sicuramente questa situazione porterà a dei cambiamenti, anche se non sappiamo ancora quanto ci vorrà».
Come pensa che dovrebbe reagire il mondo occidentale?
«Sicuramente i paesi occidentali potrebbero appoggiare di più il popolo iraniano. Chiediamo che prestino realmente attenzione a questi fatti e non si accontentino di dire due parole, per poi dimenticare tutto. Anche l’Italia ha fatto qualcosa, ma non abbastanza. Si pensi ad esempio all’informazione pubblica: passato il momento in cui manifestazioni e rivolte erano frequenti, dopo la morte di Mahsa Amini, se ne è parlato pochissimo. Per mettere in difficoltà il regime l’Occidente non ha fatto nulla, i rapporti commerciali rimangono in essere. Manca anche il riconoscimento dei pasdaran, il corpo delle guardie della rivoluzione islamica, come organizzazione terroristica. Se avvenisse, l’Occidente sarebbe costretto a intervenire contro il governo iraniano, ma ci sono troppi interessi in ballo. Ci si limita ad affermare che sono dei terroristi, senza riconoscerlo ufficialmente. Non basta quindi dire: “Sì, questi poverini hanno ragione, noi condanniamo il governo iraniano”. E poi condannare in che maniera? Soltanto a parole. Che cosa si è fatto veramente? Nulla».