Faenza, il Dopolavoro ferroviario è all’ultima fermata a quasi 100 anni dalla nascita, si tenta il salvataggio in extremis
Riccardo Isola - Dopolavoro ferroviario ultima fermata. Succede anche questo, a poche «fermate» dai 100 anni dalla nascita, che il mitico circolo per gli ex dipendenti delle Ferrovie, nato a Faenza infatti nel 1926, a fine 2022 chiuda le porte definitivamente. Una tegola sociale e storica che non è figlia solo ed esclusivamente del Covid. Il «cicchetto» maldestro e maledetto che ha iniziato l’effetto domino risale a qualche anno prima. Non solo a livello faentino. Secondo molti, infatti, il vero inizio dell’ultima corsa per molti dei Dlf, non certo solo per quelli romagnoli, è da far risalire a oltre una ventina di anni fa. Dal 2001, infatti, Ferrovie dello Stato ha cambiato il rapporto economico con i circoli ricreativi. Questi, infatti, non hanno più potuto ricevere gli spazi in concessione gratuita, previa manutenzione ordinaria in capo a loro, ma hanno dovuto iniziare a pagare canoni e bollette. Per Faenza, gli ultimi dati conosciuti parlano di affitti annuali da versare per i gestori di quasi 60mila euro anni. A questi si aggiungano le bollette e i conti, da far tornare, sono un’impresa non da poco per chiunque. Il Dopolavoro ferroviario di Faenza, che trova sede nell’ex convento di S. Caterina, è una struttura che oggi ha bisogno di importanti interventi. Se non di ristrutturazione architettonica vera e propria almeno di riqualificazione e rimodulazione degli spazi. Sia interni che esterni. Anni di gestione al risparmio hanno lasciato segni importanti sui muri e sulle aree comuni. E oggi si scontano tutti. La vitalità di questo spazio cittadino è ormai lontana, quando era animato anche da oltre 1.500 persone, anche se non è poi così vero visto che alla fine del 2019 i soci, tra dipendenti delle Ferrovie, non molti però, e cittadini, superavano le 900 unità. Ma non solo carte, partite a calcio balilla, balli folcloristici, proiezioni cinematografiche, partite di calcio trasmesse in tv e lettura dei giornali o colazioni e caffè post pranzo si sono consumati all’interno di questo storico spazio. Qui, nella mega sede, parliamo infatti di una realtà che sviluppa su 850 metri quadrati al coperto più un migliaio all’esterno, hanno trovato casa diverse realtà associative, enti, associazioni, club e attività. Oggi resiste ancora la Fototeca manfrediana (anche se presto dovrà trovare una sede nuova, vedi pezzo sotto ndr) e le lezioni, una a settimana, di tango. Hanno invece lasciato le loro storiche sedi il Club dei tifosi del Bologna e quello del Torino, un ufficio privato, le due attività di yoga, la banda, il gruppo dei parenti degli alcolisti anonimi e il gruppo Liscio Cicognani. Stando alle ultime informazioni sembra comunque che qualche interessamento, da parte di una giovane associazione, sia arrivata per la gestione anche se i costi proibitivi degli affitti, delle utenze e soprattutto i necessari interventi di riqualificazione interna rallentano il via libera.
Il capanno-giocattolo, gioiello romantico della seconda metà dell’800
Sandro Bassi - La gemma più smagliante del Dopolavoro ferroviario (oltre a quel che resta dell’architettura conventuale perché questo era pur sempre il monastero di Santa Caterina) è in fondo al giardino, su una specie di isoletta circondata da un canale, oggi asciutto ma che un tempo rendeva tutto romantico, palpitante e vivo. Si tratta di un capanno dall’aspetto esterno rustico – basti citare i quattro montanti angolari che sono alberi appena sbozzati, ancora incredibilmente provvisti della loro corteccia, e il tetto di paglia – e dall’interno tutto rivestito di affreschi (in realtà tempere a secco, comunque su intonaco vero) fino all’ultimo centimetro. Essi raffigurano un paesaggio, che mette insieme vero e finzione, con una villa, colline di sfondo e un lago incorniciato da tendaggi; in alto corre una mensola ove compaiono, illusivamente dipinti, attrezzi da giardiniere, stoviglie, strumenti musicali e due libri con la data di edizione che tradisce l’anno di esecuzione del tutto: 1851. Ecco svelata l’origine del manufatto, squisito elemento decorativo del giardino di Palazzo Milzetti, pervenuto ai Ferrovieri con la vendita di un triangolo di terreno da parte dell’ultimo proprietario, l’avvocato Bolognesi, nell’immediato dopoguerra. Resta da stabilire la funzione di un simile edificio-giocattolo e qui si fa più dura: accantonata la leggendaria ipotesi che fosse una piccola garçonniére (bella, ma scomoda) e concesso che ci si potesse talvolta prendere il fresco, una bibita o fare una siesta, l’ipotesi più verosimile è che non servisse a nulla, se non a stupire.