Riccardo Isola - «Un Natale non proprio esaltante per lo shopping locale, e in alcuni casi, soprattutto per i pubblici esercizi si può tranquillamente definire drastico». Questo è in estrema sintesi il bilancio che le associazioni di categoria dei commercianti, Ascom-Confcommercio e Confesercenti, si sentono di fare a pochi giorni dalla chiusura delle festività. Periodo dell’anno tradizionalmente strategico e fondamentale per i bilanci aziendale ma che causa Covid, Dpcm e situazione economica sicuramente non esaltante per famiglie e consumatori in genere, non ha dato i risultati attesi e sperati. Si è chiuso così un 2020 «orribile per il comparto, con perdite di fatturato che in alcuni casi arrivano a oltre il 70% rispetto al 2019» commentano i presidenti Paolo Caroli (Ascom Faenza) e Walter Dal Borgo (Confesercenti). «Siamo molto preoccupati -aggiunge Dal Borgo - perché al di là di qualche categoria, come alimentari, farmacie, ferramenta è stato veramente un profondo rosso. Chiusure arrivate e dichiarate all’ultimo, cambiamenti dell’ultima ora hanno destabilizzato non solo il mercato ma anche e soprattutto l’euforia, pandemia e problemi socio-sanitari che assolutamente non minimizziamo a parte, di chi in queste due settimane permette alle aziende e alle imprese diel commercio di chiudere i bilanci annuali. Non è stato così e in alcuni comparti, soprattutto abbigliamento, calzaturiero, ma anche florovivaisti e beni di non primissima necessità, a Natale hanno perso almeno il 40/45% del fatturato».
Se questa è la situazione dei piccoli commercianti «peggio ancora è andata per i pubblici esercizi tra cui ristoratori e bar. Un settore - rimarca con forte preoccupazione il presidente Caroli - che dai vari Dpcm è stato veramente colpito duro. Molti hanno deciso, dal 23 novembre di non riaprire perdendo eventi e momenti come il Natale, Santo Stefano ma anche e soprattutto Capodanno che incidono non poco sui bilanci. Chi è rimasto aperto - prosegue - seppur con alternative come asporto e delivery non ha certo recuperato un segno negativo che da primavera 2020 ha di fatto caratterizzato l’andamento complessivo del comparto». A questo punto le richieste rivolte alle istituzioni sono chiare. «Servono ristori veri, tempestivi e certi. Di elemosina i nostri associati non hanno bisogno. Dal livello locale al nazionale dalle tasse alle compensazioni devono essere recepite non come una richiesta meramente economica ma si tratta di vera sopravvivenza. Ne va – sottolineano con forza – della stessa possibilità di proseguire a lavorare e quindi, di riflesso, dell’occupazione. In Emilia Romagna, a novembre, siamo arrivati alla chiusura di 1.800 imprese. Se pensiamo agli albergatori e al comparto della ricettività turistica il 2020 ha complessivamente registrato un -80/90%. Una catastrofe che necessità di interventi di sostegno imponenti se non si vuole minare alla radice un ambito, a Faenza ma nel territorio faentino più in generale, molto strategico».
A questo punto la speranza è riposta su «saldi e vendite promozionali ma soprattutto sul vaccino. Due variabili che se viaggeranno di pari passo allora qualche sospiro di sollievo lo si potrà avere, altrimenti sarà veramente molto dura per molte realtà».