Perde terreno il granaio Emilia-Romagna: caleranno le superfici coltivate nel 2022,
passando da 250 a 220 mila ettari complessivi. Confagricoltura regionale stima una flessione più accentuata per il duro rispetto al tenero, nell’ordine del - 15-20%, configurando uno scenario decisamente in controtendenza rispetto all’andamento degli ultimi anni.
Il grano duro registra infatti una netta battuta d’arresto nella terza regione d’Italia per ettari investiti: una disaffezione dovuta sia alla carenza di seme certificato (maltempo e inondazioni ne hanno ridotto la produzione negli areali tradizionalmente vocati come la Romagna), sia all’elevata volatilità dei mercati nonché scarsa redditività della coltura.
«Bisogna sostenere il comparto produttivo e la filiera regionale di eccellenza della pasta
made in Italy - avverte Confagricoltura Emilia Romagna - potenziare il sistema dei contratti di filiera e promuovere strumenti di tutela del reddito per contrastare le fluttuazioni shock dei prezzi, soprattutto nell’attuale contesto geopolitico che permane altamente instabile. Sul fronte commerciale, potrebbe giocare a favore la diminuzione degli stock mondiali di grano duro, per via dell’eccesso di piogge in Europa e, al contempo, della grave siccità abbattutasi sul continente nordamericano».
Nel Ferrarese il calo delle superfici a grano duro sarà probabilmente compensato da un incremento di terreni a soia e orticole. In Romagna si prevede una crescita delle colture da seme (girasole, barbabietola, radicchio) e delle orticole come cipolle e patate visto il trend commerciale positivo della passata campagna. Nell’areale che va da Bologna a Modena e Reggio Emilia si conferma in crescita la superficie coltivata a grano tenero di forza (varietà Rebelde e Bologna o simili), sulla spinta di quotazioni soddisfacenti tuttora in tendenziale rialzo.
«Ci attendiamo nel 2024 – precisa infine l’organizzazione agricola - un leggero balzo in avanti della superficie investita a erba medica un po’ ovunque, su tutto il territorio regionale, in virtù del fatto che la coltura è in grado di garantire una buona redditività, trainata anche dalla domanda estera sempre piuttosto vivace».