Martina Panzavolta
Noa Zatta, diciassette anni, parmigiana, è attrice, cantante lirica e suona il violino. La sua playlist unisce Guns N' Roses e Mozart. Frequenta il Liceo Classico di Parma e si barcamena fra il dizionario di latino e la recitazione. Avvicinatasi al mondo dello spettacolo fin da piccolissima, è stata protagonista di numerosi spettacoli teatrali, ricoprendo ruoli sempre più importanti. Nel 2013 è stata scelta per un ruolo nel film Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores, di grande successo. A dodici anni Noa ha iniziato quindi la sua carriera cinematografica, che la vede impegnata in diversi ruoli. Di recente uscita, il film di Mateo Zoni, Il club dei 27, la enumera fra i personaggi.
Come ti sei avvicinata alla ribalta?
«L'amore per la musica e per il teatro ce l'ho da quando sono nata. Mio padre è cantante lirico, mia madre attrice-regista. Studio il violino al Conservatorio A.Boito e canto da soprano nel coro Ars Canto Giuseppe Verdi del Teatro Regio di Parma».
Sei appassionata di Giuseppe Verdi?
«Sono un'amante della lirica in generale e quindi anche di Verdi, che fra i parmigiani è quasi d'obbligo. Giuseppe Verdi è e sarà sempre molto attuale, qualsiasi opera ne è la prova. La sua lirica è estremamente profonda e d'impatto forte, anche per chi non è appassionato. Senza tempo. Ammetto di avere alle spalle una cultura molto approfondita di Verdi, e recitare nel film di Mateo Zoni, Il club dei 27, il docu-film sul grande compositore, è stata un'esperienza cinematografica molto formativa».
Hai superato dei provini per ottenere i tuoi ruoli?
«Per il film di Zoni no, mi hanno chiamato. Per quanto riguarda Il ragazzo invisibile, il mio primo film, ho superato cinque provini. Mi ricordo il giorno in cui mi dissero che avrei ottenuto il ruolo di Stella. Ero seduta a un grande tavolo, di fronte a me Gabriele Salvatores. Una volta svelata la bella notizia, mi vide impietrire e rimanere immobile. Mia madre, che era entrata nella stanza insieme a me, conoscendomi bene, chiese al regista se potessi uscire dalla porta, saltellando e urlando di gioia, e così feci».
Ti piace riguardarti sullo schermo?
«Esistono due tipi di persone: l'attore che si riguarda sempre e quello che non osa mai rivedersi. Io sono un po' in bilico, perché all'inizio mi dava tanta adrenalina, ma sto puntando sempre più alla seconda tipologia. Riguardarmi, adesso, mi piace sempre meno, trovo sempre qualcosa che non va, che avrei voluto fare in modo diverso».
Preferisci il mondo del teatro o il mondo del cinema?
«Sicuramente sono due esperienze molto diverse. A teatro non puoi ripetere, hai una sola possibilità, tutta la tua energia si concentra in quell'attimo. Sul palco sei costretto a seguire la storia del personaggio, non come al cinema, dove le scene si girano indipendentemente l'una dall'altra. Nel set devi sempre fare mente locale e ricordarti fino a che punto è arrivato il tuo personaggio, da questo punto di vista il cinema è più difficile del teatro. Il set è come una piccola città, ognuno ha il suo ruolo, tutto ciò che è intorno a te non esiste più. Sei estraniato. È la cosiddetta “magia del set”. Nel teatro invece si sente molto di più il contatto col pubblico, è un ambiente più caldo, forse per questo mi piace di più. Ci tengo a sottolineare che, nonostante i miei ruoli cinematografici, non ho mai abbandonato il teatro, ho semplicemente aggiunto il cinema, due percorsi che si sono uniti».
Sai già quale sarà il tuo prossimo ruolo?
«Sarò sicuramente un personaggio del film Digiuno a due voci di Marcello Tacconelli, fotografia di Marco Masini. Il mio sogno è fare diventare tutto questo il mio lavoro».