Quei conti da fare con il passato nel paese del «Maresciallo d’Italia»

Emanuele Malavolti - Il Comune di Grazzano Badoglio, in provincia di Asti, non si è sempre chiamato così. Prima del 1938 era Grazzano Monferrato, quindi l’intitolazione al maresciallo Pietro Badoglio è avvenuta nell’anno delle leggi razziali. Non stupisce questa scelta, considerando il contesto storico di quegli anni, ancora in pieno ventennio fascista. Stupisce oggi. Infatti, nonostante siano passati 80 anni dalla fine di Mussolini, un Comune italiano di 600 abitanti porta il nome di un responsabile di crimini di guerra. Badoglio, che già si era distinto in ambito militare, è oggi ricordato più che altro per avere ricevuto l’incarico di capo del governo da Vittorio Emanuele III, dopo la destituzione di Mussolini. Badoglio governò a fianco del re nel Regno del Sud, presidiato dagli alleati, all’indomani dell’armistizio di Cassibile e della fuga a Brindisi. Forse molti italiani non ricordano che, pochi anni prima, fu Commissario dell’Africa orientale italiana e primo viceré d’Etiopia fino al giugno del 1936, quando gli subentrò Rodolfo Graziani, che fu poi responsabile di massacri ai danni della popolazione locale. Anche il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio si era macchiato di crimini di guerra, ordinando di sganciare bombe all’iprite sulla popolazione etiope. Ciascuna di esse pesava 280 chili e conteneva circa 216 kg di iprite. Gli ordigni venivano lanciati direttamente dagli aerei, esplodendo a circa 200 metri dal suolo. Ogni bomba irrorava goccioline di liquido corrosivo (e, quindi, mortale) su un’area ellittica di circa 500/800 metri per 100/200 metri. Gli effetti duravano diversi giorni: per questo motivo, l’iprite era usata solo lontano dal fronte, in modo che non potesse colpire soldati italiani. Nell’area sottoposta al bombardamento la morte era sicura e la popolazione, inerme, non poté che subire questi attacchi criminali. Per modificare la denominazione di un Comune, è necessario, nelle regioni a statuto ordinario, rivolgersi alla popolazione e indire un referendum. Lo ha stabilito la Consulta l’8 luglio 2004 con la sentenza n. 237. Perciò, per cambiare il nome del Comune di Grazzano Badoglio, servirebbe un’iniziativa del sindaco e della giunta comunale, qualora i cittadini ne manifestino l’intenzione. Abbiamo contattato Mauro Rodini, il sindaco, per chiedergli se siano mai state avanzate proposte in tal senso. Il primo cittadino, dopo 10 giorni, ha evaso la nostra domanda, rispondendo laconicamente che preferisce «spendere le sue energie per amministrare al meglio il Comune». Abbiamo allora rivolto la stessa domanda ad Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte, guidata da una giunta di centrodestra. «Ricordo che nel 2016 - ha risposto - ci fu una petizione online con la richiesta di cambiare il nome al paese astigiano, a cui però la comunità grazzanese, che ritengo l’unica deputata a scegliere come si deve chiamare il Comune nel quale vive, si oppose con forza. A seguito della vostra sollecitazione, mi sono confrontato con il sindaco, il quale mi ha ribadito che i cittadini non hanno mai manifestato alcuna volontà di modificare il nome Grazzano Badoglio. Qualsiasi iniziativa di diversa origine – conclude - sarebbe quindi un’ingerenza nell’autodeterminazione di un Comune e dei suoi residenti». La parola agli storici. Per il professore Paolo Bertella Farnetti, docente di Storia contemporanea all’università di Modena e Reggio Emilia, «Badoglio, rispetto a Graziani, è stato certamente un personaggio che in Africa ha compiuto dei crimini, che in Italia non sono stati visti e puniti come tali, non accogliendo per esempio le richieste avanzate dall’Etiopia. Ma, a differenza di Graziani, non ha collaborato con i nazisti e dopo l’armistizio è stato considerato dai fascisti un traditore. Graziani invece - prosegue - è stato processato e condannato, anche se per poco. Vista la fatica fatta per contrastare il sacrario di Affile e il periodo storico che stiamo attraversando, personalmente non incoraggerei una battaglia sul nome». Il professore si riferisce alla vicenda giudiziaria che ha visto protagonista il piccolo Comune laziale di Affile dove, nel 2018, il sindaco Ercole Viri e due assessori vennero condannati in primo grado per apologia del fascismo, riguardo la costruzione, con fondi regionali, di un mausoleo dedicato al gerarca fascista Rodolfo Graziani, viceré di Etiopia tra il ʼ36 e il ʼ37 e responsabile di crimini di guerra nel paese, quali il massacro di Debra Libanós. La sentenza, confermata in Appello, nel 2020 è stata annullata con rinvio in Cassazione. Di parere diverso da Bertella Farnetti è lo storico del razzismo Gianluca Gabrielli: «Molte – afferma - sono le ragioni critiche, che consiglierebbero una rivalutazione e un cambiamento. Prima di tutto quella del 1938 era una scelta orgogliosamente fascista, che ha poco senso mantenere in epoca repubblicana e democratica. Il secondo motivo risiede nelle pesanti responsabilità di Badoglio nella storia coloniale italiana, sia di epoca liberale (campagna del Corno d’Africa alla fine dell’Ottocento e campagna di Libia nel 1911-12), sia soprattutto con le armate fasciste, che si macchiarono sia della ferocissima repressione della resistenza senussita in Cirenaica, con la decisione di deportare le popolazioni nomadi del Gebel (100 mila persone), sia della campagna di conquista dell’Etiopia, usando anche le armi chimiche, proibite dalle convenzioni internazionali. In questo senso - prosegue Gabrielli - è ancora oggi agghiacciante leggere le parole scritte da Badoglio al generale Graziani il 20 giugno 1930 con l’ordine di deportare le popolazioni del Gebel: «Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo e ben preciso tra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento, che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla sino alla fine, anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica». Non tutta la popolazione perì, ma 40mila delle 100mila persone deportate non fecero ritorno. Il fatto che Badoglio non sia mai stato considerato un criminale di guerra risiede nel ruolo che ebbe nell’estate del 1943, nel burrascoso passaggio dal regime fascista all’armistizio con le forze Alleate, ma anche in questo caso non si possono dimenticare i termini catastrofici e micidiali delle modalità di comunicazione pubblica dell’armistizio e la vergognosa fuga da Roma. Per questi motivi - conclude lo storico - la cancellazione del nome di Badoglio dal nome della cittadina, ripristinando il riferimento precedente, non avrebbe certo il significato di cancellare il passato, quanto quello di fare finalmente i conti con esso, correggendo una scelta imperialista fatta, al culmine del regime fascista, da personale politico di nomina fascista». Badoglio morì l’1 novembre del 1956, il funerale si svolse con la presenza dei rappresentanti del governo e con tutti gli onori militari. Nel cimitero di Grazzano è presente una cappella con le spoglie del generale e di altri familiari. La sua casa, nel 1991, è diventata un centro culturale, per conto della fondazione a lui intitolata, dove si trova anche il Museo Storico Badogliano. Mentre il 26 febbraio scorso il Comune di Salò, epicentro della Repubblica Sociale Italiana, ha revocato la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, a Grazzano si tengono stretta la memoria di Pietro Badoglio.