Post alluvione, parla Paride Antolini (presidente dei geologi E-R): «Ferite profonde, fra Modigliana e Brisighella la zona più a rischio»
Manuel Poletti - «Le zone franose di collina sono quelle che dopo quasi sei mesi dall’alluvione rischiano di più con l’arrivo dell’inverno e di altra pioggia. Da Modigliana a Brisighella, tutta la zona a monte della Vena del Gesso presenta ancora molte criticità. Per evitare altri drammi, bisogna tornare a dare spazio ai corsi dei fiumi, bene la pulizia e il rafforzamento degli alvei, ma potrebbe non bastare, quando i cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo portano sempre più spesso a precipitazioni brutali».
Paride Antolini, romagnolo, è il presidente regionale dei geologi ed in questi mesi ha vissuto da molto vicino il dramma dell’alluvione. Ha fiducia nella struttura commissariale del generale Figliuolo, «che ho incontrato e che mi pare lavori per il bene della Romagna, ma non ha in mano direttamente la gestione delle risorse. Questo è il problema». Con lui ripercorriamo il territorio in vista dell’inverno, andando ad identificare le zone che sono più a rischio, dopo quasi sei mesi dai tragici fatti di metà maggio. «L’evento verificatosi, con uno sviluppo di circa 1.000 frane di nuova attivazione o riattivazione, si configura in ogni caso come particolarmente significativo per impatto, diffusione e danni registrato negli ultimi decenni, in particolare sulla Romagna, dove bisogna tornare alle cronache del 1939 per trovare una situazione molto simile di frane diffuse».
Antolini, dopo quasi sei mesi qual è la zona più a rischio in Romagna, tenendo conto dei mesi invernali che ci aspettano?
«Le zone più a rischio sono tutta la montagna per quanto concerne le frane, dove la riparazione delle strade non è naturalmente ancora terminata e molte non sarebbero in grado di resistere ad un inverno impegnativo. In collina Modigliana, Rocca San Casciano, Brisighella è il perimetro con ancora molte criticità. Escludendo la prima collina, ma subito a monte della Vena del Gesso ci sono rimaste zona molto sensibili ai possibili eventi atmosferici invernali. Poi c’è il tema dei fiumi a valle, la rete idrografica va “aggiornata”, dovremo fare i conti con piogge sempre più intense in brevi lassi di tempo, il problema è questo. C’è molto lavoro da fare, anche in pianura».
Serviranno nuove casse d’espansione, oltre a far funzionare quelle che già c’erano, ma non erano utilizzabili?
«Con le piovosità violente a cui ci stiamo abituando, i problemi derivanti non si risolvono solo con nuove casse d’espansione, che pure sarebbero utili. A monte di Cesena e di Forlì è già in programma la loro realizzazione ed è un buon segnale, ma non basterà solo questo».
Nella carta geologica regionale, con la sigla AES8a, viene affermato che è necessario costituire aree di laminazione naturale per i fiumi. E’ stato questo uno dei problemi di metà maggio? Dove si potrebbero realizzare queste condizioni?
«Bisogna dare spazio all’acqua, è necessario allargare gli spazi, in altri casi bisogna addirittura delocalizzare. Nel Dopoguerra si lavorò sempre per arginare i fiumi, per avere nuovi terreni agricoli o soprattutto nuove zone edificabili. Oggi bisogna fare un percorso inverso, bisogna trovare e dare spazio di sfogo ai corsi dei fiumi, altrimenti se lo riprendono in maniera violenta in caso di piogge molto intense».
Come giudica le opere di somma urgenza adottate da Regione e Comuni in questi mesi?
«Le opere di somma urgenza sono state adeguate, fino ad ora, alla situazione di emergenza, bene gli interventi sui corsi dei fiumi e soprattutto sulla viabilità. Certo, se si avesse avuto un quadro più certo delle risorse disponibibili fin dall’estate, non si sarebbe perso tempo prezioso come i due mesi per la nomina del Commissario».
Le risorse stanziate fino ad ora dal Governo sono sufficienti per le opere pubbliche?
«Adesso bisogna accelerare, c’è una mole di lavoro immenso ancora da fare, soprattutto in collina e in montagna. I Comuni sono sotto pressione da mesi, servirà uno sforzo straordinario. Le ditte sono piene di lavoro e non sono abbastanza. Per questo le risorse che devono arrivare da Roma sono fondamentali, soprattutto per la tempistica con cui andranno “a terra”».
Esiste un rischio spopolamento delle zone collinari?
«In collina il rischio esiste sempre, certo la situazione attuale può far cessare molte attività se i tempi di recupero dovessero allungarsi ancora di più».
Il lavoro del Commissario Figliuolo e della sua struttura sono all’altezza della situazione?
«Sono brave persone, competenti. Hanno avuto l’umiltà di confrontarsi con noi degli ordini professionali. Il problema però sono le risorse da trovare e far arrivare velocemente sul territorio romagnolo, ma questo non è il compito del Commissario Figluolo, ma del Governo centrale».