Il Seminario non si vende, rimarrà centro di formazione per laici e sacerdoti
«Il Seminario rimarrà come luogo di formazione, non solo per i futuri sacerdoti, ma anche per i laici». È questa la finalità che il nuovo rettore don Michele Morandi (e soprattutto il vescovo Mario Toso che l’ha appena nominato) attribuisce alla struttura che è chiamato a dirigere e guidare: un luogo quindi vivo e centrale per la diocesi dove far crescere vocazioni, già in aumento a Faenza, ma non solo per la città. Don Morandi è infatti il responsabile di un progetto interdiocesano che ha portato, a partire dal 2014, 12 seminaristi di tutta la Romagna a formarsi proprio nella struttura di via Stradone. 39 anni, originario di Alfonsine, don Morandi è sacerdote dal 2003 e dalla scorsa settimana è il più giovane rettore romagnolo.
Don Morandi, come mai questo cambio di rotta sul seminario? Non vendete più al Comune la parte dov’è ospitata la scuola Europa?
«In realtà, non è una decisione legata alla mia nomina, ma precedente ad essa. E nasce dall’idea che il seminario è uno degli immobili più preziosi della diocesi per centralità, tipologia e soprattutto unicità: frazionarlo significherebbe impoverire questo patrimonio. Vogliamo invece valorizzarlo facendolo diventare un centro pastorale per la formazione, non solo dei seminaristi, per i quali è oggettivamente sovradimensionato, ma anche per i laici. Già oggi non è un ‘ex’ seminario».
Quanti sono i giovani in cammino per diventare sacerdoti?
«A Faenza è ospitata la comunità propedeutica (è un cammino di due anni di formazione e approfondimento vocazionale che di fatto precede il seminario vero e proprio che si fa a Bologna) di tutte le diocesi della Romagna: ci sono 12 ragazzi, tre dei quali di Faenza. A Bologna invece frequentano 32 seminaristi, 25 dei quali sono romagnoli».
Quali sono le difficoltà maggiori in campo vocazionale?
«La difficoltà principale è legata alla dilazione in avanti delle scelte di vita delle persone e di conseguenza alla paura che esse generano». Nonostante ciò, il numero di seminaristi faentini è progressivamente aumentato. Quanti diventeranno sacerdoti nei prossimi anni? «Effettivamente, mentre monsignor Castellani era riuscito ad ordinare 9 sacerdoti, monsignor Stagni dopo di lui solo 2 (evidentemente non è connesso all’episcopato perché il percorso di preparazione inizia 6-8 anni prima). Sabato scorso c’è stata l’ordinazione diaconale (l’ultimo passo prima del sacerdozio) per Claudio Platani e, se Dio vuole, nei prossimi anni avremo 1 o 2 ordinazioni l’anno per 4 o 5 anni».
A cosa è dovuta questa inversione di tendenza?
«Fondamentale secondo me è stato caratterizzare la pastorale vocazionale in maniera meno clericale e coinvolgere i laici. Come codirettori dell’Ufficio di Pastorale vocazionale, ho una coppia di sposi e ci dà una mano anche una religiosa, proprio per mostrare che la vocazione non è solo quella al sacerdozio. A livello di attività, considero molto importante le esperienze di preghiera ma soprattutto incrociare i giovani nei momenti in cui si pongono domande serie sulla loro vita, nei passaggi scolastici, ma anche nei momenti del dolore e dell’amore».
Che percorso fanno i seminaristi? Chi li accompagna?
«Qui in seminario c’è il rettore che è chiamato a dare una valutazione sui candidati, poi il direttore spirituale, una psicologa, una pedagogista, i docenti. Ogni seminarista ha una ‘famiglia adottiva’ (dal quale è ospitato per cena una volta ogni 2 settimane) e qui a Faenza facciamo fare un’esperienza lavorativa a ciascuno nei due anni di propedeutica». Molte figure anche femminili, in seminario…
«Sì, anche questa è una caratteristica di Faenza: credo che le figure femminili siano importanti nella formazione dei preti perché l’educazione passa attraverso tutta l’umanità che è maschile e femminile. Ognuno ha una componente maschile e femminile che va integrata e la formazione non sbilanciata aiuta a vivere in maniera più equilibrata questa dimensione». Lei è il più giovane rettore del seminario in Romagna, oltre che l’unico under 40… «Sono entrato a 16 anni e posso dire di non esserne mai ‘uscito’. Che dire, cresco con loro». (Daniela Verlicchi)