Dopo le investiture verbali delle scorse settimane, Enrico Liverani esce pubblicamente allo scoperto, incontrando i militanti del PD radunati in Piazza Garibaldi per costruire il progetto “Immagina Ravenna”.
Dopo una mattinata di confronti e lavori di gruppo sui vari temi di sviluppo della città, il tendone si è completamente gremito per il discorso del nuovo candidato sindaco.
Tutti schierati all’ascolto i vertici politici e amministrativi del Partito in un clima di palpabile attesa (“Sì, accetto la candidatura!” ha detto ironizzando su una notizia che, pur non ufficiale, era stata abbondantemente confermata).
Enrico Liverani ha parlato per una mezz’ora, senza appunti, senza preamboli e senza risparmiare elementi di sorprendente discontinuità con il passato. Innanzitutto poche “citazioni” (mai nominati il sindaco uscente Matteucci, il “padrino amministrativo” Corsini, il segretario regionale del PD Calvano (tutti presenti in prima fila e comunque festanti nell’abbraccio post-discorso) e nemmeno il premier Renzi.
Liverani impone subito una presenza da predestinato: padrone della scena, voce appassionata e senza incertezze, punti programmatici e politici svolti in sintesi efficace e posizioni spesso taglienti. I toni sono fermi, alleggeriti di tanto in tanto da qualche battuta, con netta preferenza per l’ironia in punta di forchetta (ad esempio quando le campane suonano proprio nel momento in cui pronuncia la parola “centrosinistra” o quando il potenziale candidato Bucci passa casualmente a fianco del tendone salutando beffardamente e beccandosi il pronto rimbrotto di Liverani “cercate di capirlo, non è abituato al confronto democratico fra cittadini”). Un “passo” da oratore piuttosto inaspettato, per chi viene dalle fumose tradizioni del sindacato.
Nel suo intervento Liverani parla solo di Ravenna e del suo ampio territorio comunale (più di un passaggio sulla valorizzazione dei servizi e dei collegamenti col forese), senza alcun accenno a temi politici nazionali o internazionali.
Una prima riflessione parte dalla visione quasi sempre contraddittoria della città fra il punto di vista di turisti e visitatori (che spesso ne tessono pubblicamente lodi sperticate) e degli abitanti stessi, che, al contrario, nei social network e nei pubblici dibattiti, ne parlano con toni cupi, preoccupati e schifati.
A questo proposito, oltre agli inevitabili approfondimenti su economia e lavoro, Liverani si sofferma su arte, bellezza, aggregazione (“se alle 9 e mezza di sera c’è un po’ di musica non deve diventare un problema!”) e lotta alla solitudine, soprattutto degli anziani.
Il programma è scandito per rapidi capoversi. A volte, il tono decisionista e sicuro nasconde parole che invece lasciano intuire dibattiti ancora in corso e posizioni non ancora decise (ad esempio sui rapporti con Eni o sul glissatissimo tema delle alleanze elettorali); altre volte, invece, è l’indice di valori fondanti nella crescita culturale e politica del candidato, come l’ancoraggio ai valori dell’antifascismo e della Resistenza, di cui è appassionato sostenitore (“I busti di Zaccagnini e Boldrini rimarranno lì dove sono!”, “la mia posizione politica sarà sempre dalla parte di chi ha un diritto in meno”, con un esplicito riferimento all’intolleranza di un gruppo di estrema destra durante la recente manifestazione per i diritti degli omosessuali). La proclamata “discontinuità” si evidenzia in vari passaggi dove orecchie maliziose potrebbero vedere accenni di critica al “matteuccismo” degli ultimi 8 anni. “Non dovrà più succedere che… “ , “non dovremo più…”. (Marco Ortolani)