Riverso dopo 25 anni lascia il Tribunale: "A Ravenna servono due giudici del lavoro"
Da qualche anno Roberto Riverso è l'unico giudice del lavoro del tribunale di Ravenna, dove arrivò nel 1989. La sua carriera è iniziata come pretore nel 1988 a Lugo dove, ogni sabato mattina, era solito affrontare il tema della sicurezza sul lavoro in un'ottica di prevenzione. Su questo ambito, Riverso ha speso molto del suo impegno lavorativo. Un lavoro intenso, senza soste. «Per avere risultati il primo imperativo per un giudice è lavorare sodo - racconta -. Sabato e domenica inclusi. Ricordo che, periodicamente, convocavo il legale rappresentate della ditta di turno e il responsabile del servizio di medicina preventiva per discutere delle misure da intraprendere. Se un giudice intende dare una risposta sensata ai bisogni, deve inevitabilmente contaminarsi con la realtà in cui vive». A poche settimane dal nuovo incarico in Cassazione, Riverso stila un bilancio degli anni trascorsi in provincia. Ad oggi, lei è l'unico ad occuparsi di diritto del lavoro per il tribunale di Ravenna: quali sono state le vertenze più significative ed esemplari? «Ravenna presenta problematiche molto diversificate anche a causa del suo ricco e variegato tessuto economico. Negli ultimi anni si è dovuto fare i conti con le conseguenze della crisi, affrontando centinaia e centinaia di cause di licenziamento tramite le nuove normative, meno garantiste, introdotte da Fornero e Jobs act. In città tutti ricordano le sentenze in materia di amianto, provvedimenti che hanno fatto da apri pista a livello nazionale. Proprio a Ravenna abbiamo ottenuto 8mila benefici pensionistici per lavoratori esposti. In questi anni la mia attività si è concentrata sul settore degli infortuni, malattie, pubblico impiego, risarcimento danni, cooperative, questioni previdenziali ed assistenziali. Ricordo che, in materia di pensioni, i tempi di giudizio erano di 5 mesi al massimo. Ogni anno riuscivamo a soddisfaremo diverse centinaia di richieste di indennità di accompagnamento e di pensioni». Come è cambiato il suo lavoro in questi anni? «Negli ultimi 15 anni c’è stato un processo di frantumazione dei diritti che ha portato ad una diminuzione delle tutele, anche in sede giudiziaria. Il lavoro è stato svalutato. Il potere è stato sempre più concentrato nelle mani dell’economia, sopratutto finanziaria. Questo ha portato ad una minore quota di democrazia. L'articolo 18 abrogato dal Jobs act era una norma virtuosa che, tutelando il posto di lavoro, offriva una maggiore effettività a tutti i diritti del lavoratore. Salute ed attività sindacale incluse». Il Jobs act ha introdotto il contratto a tutele crescenti: quali sono le tutele che crescono? Quali sono state le ricadute sul territorio? «In proposito bisogna premettere che, sul piano giuridico, c’è una truffa delle etichette. in quanto le tutele sono notevolmente diminuite. Altro che crescenti! Le ricadute sulle cause ancora non ci sono state e gli effetti li misureremo nel giro di tre anni, quando vedremo se le assunzioni saranno state reali e se avranno inciso in modo stabile sulla economia, che avrebbe bisogno di investimenti duraturi per creare nuovi posti e non di sgravi indiscriminati». In seguito alla riforma introdotta dal Jobs act è ragionevole attendersi una diminuzione della vertenzialità nel territorio? «Abbiamo già una 'cartina tornasole' perchè sappiamo che, quando un lavoratore non viene garantito contro i licenziamenti illegittimi, aspetta la fine del rapporto per far valere i propri diritti. Prevedo che, con le nuove regole, in futuro questo accadrà anche per le imprese con un numero superiore ai 15 dipendenti. Ed è quello che chiamiamo un processo di precarizzazione generale della società e del lavoro ». Quanto e come ha influito, a livello locale, la crisi economica, rispetto alle vertenze legate al lavoro? «Ogni anno, tra lavoro, previdenza e assistenza, contiamo 1500 cause. Fino a qualche anno fa si arrivava a fatica ad 800. La vertenzialità è cresciuta nel mondo della pubblica amministrazione, in particolare nella scuola. Una volta questi ambiti erano di competenza del Tar. Quando iniziai, nel distretto di Ravenna c'erano tre giudici del lavoro. Da allora le cause sono triplicate e ce ne è uno solo. Siamo in presenza quindi di un problema organizzativo: il settore civile e penale (Ravenna conta dieci pubblici ministeri) hanno assorbito le maggiori forze. E servirebbe con un urgenza almeno un secondo giudice del lavoro». E' possibile stilare una casistica dei territori con i più alti livelli di infortunio sul lavoro? «Ravenna presenta i problemi maggiori, ma non scherzano neanche le campagne di Faenza e Lugo. La piaga che affligge il nostro territorio è quella delle malattie professionali e delle problematiche legate al lavoro nero; il vero problema, però, si riscontra nel settore della logistica e degli appalti ». In provincia si continua a morire di lavoro, ma rispetto ad anni fa la situazione è migliorata? «Ritengo che il miglioramento della situazione sia dovuto ad un calo numerico dei lavoratori; certo, i protocolli siglati negli ultimi anni sono stati molto utili ai fini della prevenzione, ma credo che la minore presenza di infortuni sia da associare principalmente ad una minore attività. Ed infatti la ripresa sta già portando ad un alzamento degli indici ». A breve si trasferirà a Roma, quale tipo di lavoro l'aspetta? «La legislazione è cambiata, di conseguenza il lavoro. Negli ultimi 15 anni c’è stato un attacco ai diritti del lavoro ed ai poteri dei giudici, mentre sono cresciuti ovunque quelli discrezionali delle imprese. Il giudice del lavoro è stato trasformato in una sorta di conciliatore ed erogatore di indennizzi per diritti già violati. Penso invece che le persone abbiano bisogno di essere tutelate in modo reale ed in via preventiva, costruendo processi di emancipazione ed avanzamento democratico. A questo compito sono chiamati a contribuire anche i giudici con un esercizio attento, oculato e consapevole del potere giurisdizionale, in base alla Costituzione». (Federica Ferruzzi)