Ritrovamenti storici, Gabici: "Ponti romani e pavimenti, una città da scoprire"
A Ravenna, si sa, appena scavi un buco, trovi un reperto. Ed effettivamente negli ultimi decenni, Sant’Agnese a parte, sono diverse le testimonianze di epoca romana emerse durante scavi e opere di riqualificazione. In qualche caso, quello dei marmi e mosaici policromi di un edificio bizantino del V-VI secolo che poi grazie a Ravennantica è diventata la Domus dei Tappeti di Pietra o quello più recente del mosaico pavimentale ritrovato in un cantiere Hera in piazza Anita Garibaldi (ora a Tamo), si è scelto di valorizzare e aprire al pubblico, in molti altri casi, per mancanza di fondi o interesse, si è scelto di ricoprire il tutto. Nel caso di piazza Kennedy, spiega Franco Gabici, giornalista, e profondo conoscitore della storia di Ravenna, Sant’Agnese, è per dirla con le parole dell’archeologo Mario Mazzotti, «una delle più antiche e venerande della città», anche perché ospitava il collegio dei parroci urbani. «In origine la chiesa si presentava con tre navate sorrette da colonne – spiega Gabici -. Non si hanno notizie circa l’esistenza di mosaici nel suo interno. Nel XII secolo subì una radicale trasformazione e nel 1682, seguendo la “moda” del tempo, venne ridotta ad una sola navata con due grandi cappelle laterali. Fu completamente distrutta nel 1808 e il sarcofago di marmo greco che conteneva le ossa di Sant’Esuperanzio fu trasferito in Cattedrale». Ma nel corso degli anni, come si diceva, sono diversi i ritrovamenti poi prontamente richiusi alla vista dei cittadini: «Negli anni Settanta, durante i lavori di sistemazione di piazza dei Caduti, venne alla luce l’arcata di un ponte – ricorda Gabici -. Si trattava probabilmente di un ponte sul fiume Padenna che anticamente attraversava la città. Restò visibile per qualche tempo poi fu interrato per consentire l’allestimento dell’aiuola di verde che ancora oggi si vede. Altro caso clamoroso è il Ponte di Augusto di via Salara. È stato portato alla luce in diverse occasioni ma alla fine si è deciso di ‘seppellirlo’ e oggi purtroppo esiste solamente una lapide che ricorda il ponte». Sarebbero tanti i modi per valorizzare i nuovi reperti. L’intera zona nella quale è collocata Sant’Agnese, spiega Gabici «era chiamata ‘Ercolana’ forse per la statua dell’Ercole orario ivi presente denominato ‘conchincollo’ perché raffigurava un Ercole inginocchiato che reggeva sul collo e sulle spalle una conchiglia all’interno della quale era un orologio solare, probabilmente l’orologio pubblico della città. Perché, allora, non ricollocare nella piazza una copia di questo antico orologio solare?». (d.ver.)