Nanni, Righini, Silvestroni: «Greggio basso e richiesta di referendum, l’offshore è in difficoltà»

Ravenna | 12 Ottobre 2015 Blog Settesere
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Il basso costo del greggio, crollato della metà del suo valore negli ultimi dodici mesi, ha fortemente messo in crisi i settori dell’offshore e della cantieristica (navale e dei manufatti per il mondo dell’oil&gas) che nel ravennate conta «direttamente quasi una cinquantina di imprese e circa cinquemila dipendenti - inquadra le dimensioni del problema Franco Nanni, presidente dell’associazione Roca (Ravenna offshore contractors association) -, che raddoppiano se consideriamo l’indotto e i dipendenti di queste imprese che operano all’estero».
«Le multinazionali hanno tagliato investimenti per 180 miliardi di dollari in questo settore: è una situazione pesante e non sono previsti cambiamenti se non prima della seconda metà del 2016 - commenta Renzo Righini, presidente di Omc -. In questo mercato difficile a livello globale, sicuramente non aiuta la richiesta di un referendum ‘anti trivelle’ come quello proposto da molte Regioni italiane. Per questo sono felice della sensibilità mostrata sia dal consigliere regionale Bessi che dall’intero consiglio regionale ha cercato di porre in termini diversi la questione. Questi investimenti sono importanti e portano lavoro in maniera duratura mediamente per 30-40 anni e minimo per 20. Inoltre hanno un indotto enorme. Essendo molto onerosi, e quindi con ritorni lunghi, le compagnie petrolifere generalmente non investono con un prezzo del greggio inferiore ai 65-70 dollari al barile con una prospettiva stabile».
La situazione «è piuttosto preoccupante perché con un prezzo del petrolio così basso stiamo assistendo ad un rallentamento e sempre più spesso ad un abbandono degli investimenti delle compagnie petrolifero che sono il motore, direttamente o indirettamente, di tutto il comparto - analizza Stefano Silvestroni, presidente del gruppo Cantieristica e manufatti offshore di Confindustria Ravenna -. Inoltre, a livello italiano, quel clima di recupero della fiducia grazie ai decreti dello Sblocca Italia che ridava respiro alle estrazioni dal sottosuolo ha avuto un fonte blocco dalla condivisione da parte di molte Regioni nel chiedere un referendum su questo argomento. Ora percepiamo un clima di sfiducia e preoccupazione da parte delle oil company, che con un prezzo basso e l’incertezza frenano gli investimenti miliardari. Per questo abbiamo osservato con molta soddisfazione il non accodarsi a questa manovra populista e demagogica a livello politico e nefasta da quello occupazionale e del reddito della Regione Emilia Romagna».
Il settore «è in grande crisi e si prospetta un 2016 molto difficile - conclude Nanni -. Le nuove commesse sono diminuite e quelle vecchie stanno finendo. A questo scenario si aggiunge la chiusura degli investimenti Eni in Italia e quindi le prospettive sono terribili. Si deve sbloccare politicamente la situazione in tempi rapidi».

Christian Fossi
economia@settesere.it
Foto di Massimo Fiorentini


In forse gli investimenti in Croazia

«L’intero progetto di sfruttamento intensivo delle risorse di idrocarburi offshore croate è rimandato, almeno sino all’elezione di un nuovo governo, prevista nei prossimi mesi». Lo ha annunciato con soddisfazione Greenpeace Italia che ha sottolineato come nei mesi scorsi la statunitense Marathon Oil e l’austriaca Omv (che erano titolari di sette concessioni su dieci nell’Adriatico croato) «avevano già rinunciato definitivamente a procedere con i loro piani» e ora «è probabile che anche la Ina faccia un passo indietro». Se fosse così «l’unico lotto che manterrebbe le possibilità di sfruttamento sarebbe quello assegnato al consorzio Eni e MedoilGas».
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