Imprenditori U40, Marika Servadei (Rio Del Sol): «Portiamo innovazione di prodotto anche nei campi»

Faenza | 17 Agosto 2015 Blog Settesere
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Chi l’ha detto che in Romagna c’è spazio solo per le colture tradizionali? Marika Servadei, 34 anni si è inventata i «mirtilli romagnoli» che coltiva insieme a melagrane e lamponi affiancati alle più classiche albicocche, susine, kiwi, mele e pere. «Produciamo frutta da più di 40 anni» racconta Marika, che insieme alla famiglia conduce l’azienda Rio Del Sol sulle colline tra Faenza e Forlì. «La sede dell’azienda è in via Corleto a Faenza dove si coltivano mele, pere e patate - precisa -, ma i terreni sono situati anche a Petrignone (viti, kiwi, melograni, mirtilli, pesche) e Celle (albicocchi, pesche piatte e viti)». I metodi di coltivazione sono insieme antichi e moderni: «Utilizziamo la naturale vocazione dei terreni e le moderne tecnologie a basso impatto ambientale - spiega Marika - per ottenere le più raffinate sfumature di sapore. La raccolta e il confezionamento della frutta vengono effettuate direttamente in campo». Marika in campagna ci è nata e cresciuta, ma ha saputo reinventarsi un mestiere. «La terra è sempre stata la mia passione - racconta - trasmessa da mio babbo a me e ai miei fratelli».
Com’è nata l’idea di investire su melograno, lampone e ribes?
«Negli ultimi anni il nostro settore ha attraversato momenti di crisi dovuti sia al mercato sia alla Psa una batteriosi che colpisce il kiwi. Dopo un attacco importante di questo battere abbiamo deciso di piantare mirtilli nel 2011 e melograni dal 2013».
Coltivare mirtilli in Romagna è un’idea originale, ma il terreno e il clima sono adatti?
«Per i mirtilli avevamo un terreno che rispecchiava solo in parte le loro esigenze, così mi sono messa a studiare e sperimentare con un po’ di pazzia e l’aiuto di mio babbo Davide. Oggi abbiamo quasi imparato a fare i mirtilli romagnoli: ne coltiviamo circa un ettaro e mezzo e la raccolta va dalla fine di maggio a metà luglio. Nel 2014 abbiamo prodotto 7-8 quintali di mirtilli ad ettaro vendendo il prodotto ad un ottimo prezzo».
Il melograno invece?
«Il melograno è venuto di conseguenza: i frutti nutraceutici sono utili e ricercati... così, perché non provare? Siamo andati nel Salento dove coltivano melograni da molti anni e abbiamo piantato varie varietà in circa due ettari, dedicando una parte anche alla sperimentazione per scoprire quali sono le varietà più adatte al nostro territorio. Da qui l’idea di trasformare parte della nostra frutta in succhi e confetture con basso tenore di zuccheri e puri al 100%».
E il pubblico come ha risposto?
«Con non poche difficoltà, specialmente nella grafica e pubblicità, siamo riusciti a far conoscere il nostro prodotto e abbiamo aperto sotto casa un piccolo negozio in gestione familiare dove vendiamo  direttamente succhi di mirtillo e melograno oltre alla frutta fresca che ovviamente varia a seconda delle stagioni. Oggi possiamo ritenerci soddisfatti del rapporto con la clientela».
Quali sono i vostri punti forti?
«La forza del nostro prodotto è l’elevata qualità, l’ottimo sapore dolce e l’elevata conservabilità: venti giorni a temperatura ambiente e oltre un mese in atmosfera controllata».
Che tipo di impegno richiede un’attività così varia e diversificata?
«Inutile dire che il tempo per gli hobby è esaurito. Si lavora a tempo pieno e tutta la famiglia partecipa. Essendo una strada nuova occorre imparare ancora molto: marketing, contabilità, fiscalità sono le cose più difficili. La giornata inizia alle 6.30 e non si sa quando finisce: a volte alle otto, altre anche alle dieci di sera».
Quali sono i metodi a basso impatto ambientale che utilizzate?
«Utilizziamo tecniche di drenaggio e di recupero delle acque di irrigazione che poi raccogliamo in un invaso che è al centro della nostra azienda, perché crediamo che l’acqua sia alla base della vita. Cerchiamo inoltre di sfruttare la naturale vocazione dei nostri poderi. Speriamo che la passione, i sacrifici e la diversificazione che abbiamo attuato ci gratifichino con un buon reddito che, ad oggi, in agricoltura è totalmente assente».

Barbara Fichera
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