Il segretario provinciale della Filctem Cgil, Massimo Marani, esprime grande preoccupazione per la situazione di Eni e dei comparti della raffinazione, dell'estrazione e della petrolchimica italiana. Marani sottolinea che l'attuale situazione potrebbe comportare serie ripercussioni anche per i distretti ravennati dell'energia e della chimica.
I sindacati unitariamente hanno proclamato a livello nazionale uno sciopero per il 29 luglio.
Queste le dichiarazioni di Massimo Marani: “Il bubbone è esploso. In attesa della comunicazione ufficiale del nuovo piano industriale, che è previsto a fine mese a Londra, le dichiarazioni del nuovo amministrazione delegato Eni e l'esito del conseguente incontro del 8 luglio con le segreterie nazionali di categoria hanno di fatto aperto una vertenza vitale per il futuro dell'industria italiana. Eni deve rimettere in sesto i conti, in un modo o nell'altro, nelle divisioni in perdita. L'obiettivo è focalizzare il business sul petrolio, ma la raffinazione in Italia è in sovrapproduzione quindi sono state prese alcune pesanti decisioni volte a riequilibrare il business in Italia: la raffineria di Gela va chiusa, anche se per ora si parla di semplice prolungamento del fermo. La raffinazione tradizionale in quel sito non si farà più. C'è casomai all'orizzonte un progetto per una bio-raffineria, le cui ricadute occupazionali non sono certo tranquillizzanti. Il fermo della raffineria di Porto Marghera è invece prolungato fino a data da destinarsi, ma il suo destino sembra segnato, diventerà un sito logistico. Il revamping del cracking, deciso a febbraio, è bloccato e difficilmente si completerà.
La raffineria di Taranto diventerà un deposito. Il sito di Sarroch sarà oggetto di una cessione di ramo d'azienda, il cui perimetro non è ancora definito, anche se si sa che l'adiacente raffineria Saras è oggetto di attenzione da parte di un gruppo russo...a buon intenditor...
Gli obiettivi di investimento su Priolo rimangono validi, ma l'azienda fa capire che verranno diluiti nel tempo. La chimica che può interessare è solo quella "verde", quindi va tutta trasformata in quel senso, dopodichè Eni valuterà se ci sono ancora prodotti tradizionali profittabili anche nella nuova luce dei costi di produzione, crollati anche nel mercato americano grazie allo shale gas, oltreché nel far east. Tutti questi elementi meritano una serie di considerazioni. L'Eni rappresenta, con le sue divisioni, l'ossatura dell'intero sistema energetico e chimico, e anche laddove non è proprietaria della maggioranza degli impianti, come nella chimica, funge da zoccolo duro e catalizzatore delle attività di tanti petrolchimici e primario veicolo di fornitura di materie prime per il comparto industriale che costituisce il punto di partenza di tutte le filiere manifatturiere italiane. Stiamo parlando di aziende che ancora forniscono perlopiù buon lavoro, svolto in sicurezza, pagamenti puntuali e un capitale di formazione e professionalità unico e irripetibile. In questi ultimi anni di crisi sono stati fatti molti accordi tra Eni e parti sociali, alcuni dei quali molto importanti per l'importo degli investimenti in ballo ma anche per il prezzo pagato in termini di posti di lavoro, di ammortizzatori e di appesantimento delle condizioni di lavoro. Quasi tutti sono stati totalmente o parzialmente disattesi dall'azienda, dagli episodi più clamorosi come quelli di Gela e Marghera ai tanti ritardi negli investimenti legati ad accordi meno noti: un volta sono esigenze di mercato, un'altra è la lentezza burocratica, oppure un problema dell'azienda esecutrice dei lavori. Dovremo iniziare a porci il problema di chi possa garantire per Eni quando firmiamo un accordo? Il tanto controverso protocollo sulle relazioni industriali del 2011 impediva ogni chiusura fino al 2014 ma, premesso che al momento si registra l'indisponibilità di Eni ad un suo rinnovo, inizio a fare una certa fatica a distinguere tra una "chiusura" ed una "fermata fino a data da definirsi", formula che inizia ad essere pericolosamente consueta. Il problema di prospettiva si manifesterà anche sull'estrazione del gas, visto che si dichiara l'intenzione della società di indirizzarsi verso la rinegoziazione dei contratti di fornitura piuttosto che continuare a cimentarsi con l'estrazione dello stesso, così contrastata da una normativa abbastanza ottusa e sempre vincolata, e ci mancherebbe, al rispetto degli aspetti ambientali e di ecocompatibilità. Peccato che a Ravenna ci sia una delle basi Eni E&P più importanti e davanti alle nostre coste ci siano giacimenti strategici per qualsiasi piano energetico sensato si possa elaborare per questo paese. Dalla presenza di questa base ed attività dipende la presenza sul territorio di decine di aziende che si occupano di off-shore, manutenzione e servizi.
Vista la portata della vicenda, vista la presenza in quota decisiva nell'azionariato Eni, dovrà essere il Governo a intervenire e a fare da garante: ne va del futuro di questo paese, nessuno può più permettersi sottovalutazioni o fatalismi. Non dimentichiamoci però che stiamo parlando dello stesso Governo che ha scelto De Scalzi come amministratore delegato e che ha sempre come obiettivo raggranellare la liquidità necessaria a mantenere le promesse fatte, non ultima quella di rendere strutturale il bonus da 80 euro. Padoan ha ribadito anche recentemente che una delle strade più probabili sarà la vendita di quote Eni ed Enel.
Se le conseguenze dirette di un simile percorso intrapreso da Eni sono facilmente intuibili per Ravenna, dove possiamo stimare un bacino di 7.000 lavoratori potenzialmente coinvolti tra indotto e diretti, dobbiamo anche superare l'idea che sopravvivere ad un ulteriore giro di esfoliazione del "carciofo" Eni possa rappresentare una vittoria, mentre sarebbe solo un riposizionamento del sito come successiva foglia in procinto di essere rimossa. Dalla riunione unitaria dei rappresentanti sindacali del gruppo Eni, che si è tenuta ieri a Roma, ho colto una diffusa maturazione dell'idea che questa volta servirà un'unione di azioni e volontà straordinaria e senza tentennamenti, a partire dallo sciopero di tutte le aziende del gruppo dichiarato per il 29 luglio e dalla relativa manifestazione davanti a Montecitorio”.