E’ partito il nuovo impianto di Versalis. Viaggio tra le realtà principali del petrolchimico
«Nonostante le difficoltà che abbiamo avuto, possiamo dire che in questi anni nel petrolchimico abbiamo retto alla crisi in maniera importante, anche se con distinguo che dipendono dai settori e dai contesti. Adesso che in alcuni settori si respira un po’ di aria di ripresa, visto che non si produce just in time, la gomma-plastica fatica a tornare a livelli pre crisi. In altri contesti siamo andati bene e non ci sono stati momenti di cassa integrazione, anche se un po’ ovunque le armi che avevamo a disposizione, le abbiamo già usate tutte». Così Lorenzo Zoli, segretario generale della Femca Cisl Romagna, fotografa il quadro che interessa i 1.800 dipendenti direttamente impegnati nelle imprese del settore che operano nel polo petrolchimico di Ravenna.
Il tutto in attesa che, dopo aver presentato al tavolo nazionale dell’8 luglio scorso a Roma le linee guida generali, il Gruppo Eni declini il piano industriale anche a livello locale. «Stiamo aspettando con grande attenzione di capire quello che ha in mente il nuovo amministratore delegato Claudio Descalzi - continua Zoli -, dopo le dichiarazioni fatte che dicevano di volersi concentrare soprattutto nel settore petrolifero, facendo di fatto diventare Eni una oil company, e superare così le quattro divisioni attuali: chimica, raffinazione, gas e appunto petrolio. A seconda di come declina questa dichiarazione ci saranno conseguenze differenti anche sul ravennate dove la chimica è preponderante».
Infatti sono quasi mille i dipendenti del gruppo. La parte principale è in Versalis, ex Polimeri Europa, che conta oltre 750 dipendenti e rappresenta la più importante delle 14 società chimiche del Gruppo Eni. Gruppo che ha appena investito 300 milioni di euro in un nuovo impianto per la produzione di uno butene che «è partito la scorsa settimana - spiega Zoli - e rappresenta un pezzo importante per il futuro del sito. Ora siamo in attesa di un nuovo investimento da 193 milioni di euro che la crisi e la contrazione dei consumi hano congelato: si tratta di un impianto denominato Sdr solution che produce una particolare gomma (le cosiddette green tyres) che ha meno impatto di rotolamento e consente di inquinare meno. Per lo stabilimento rimane un punto strategico».
Sempre del Gruppo Eni sono rilevanti la Ravenna servizi industriali che occupa 130 persone e la centrale EniPower che con 55 dipendenti fornisce energia elettrica per gli stabilimenti del petrolchimico e vende le eccedenze alla rete.
Le altre due imprese principali sono Vinavil e Yara. La prima fa parte del Gruppo Mappei e occupa circa 120 lavoratori. Il patron Giorgio Squinzi investe nello stabilimento ravennate in maniera costante e l’ultimo - da 15 milioni di euro - è stato annunciato circa un anno e mezzo fa. La lavorazione principale è una serie di cementi particolari per il mercato estero, in particolare quello florido del Brasile dove c’è un boom da alcuni anni di grandi opere.
Yara conta 145 dipendenti e produce i derivati dei concimi complessi. E’ un business fortemente influenzato dalla stagionalità ed è considerato una commodiety, per cui si lavora su tante tonnellate. I clienti maggiori sono il Nord Africa e il bacino del Mediterraneo più in generale (dove tra l’altro vengono reperite anche le materie prime).
La Cray Valley Italia, ex Fiat Avio, a Ravenna produce poli butadine, un composto usato principalmente come elemento plastico particolare in edilizia (mischiato al vetro lo rende resistente «come cemento» in modo tale per grattacieli) o come combustibile aerospaziale (per cui è fornitrice dell’Ente spaziale europeo). Al momento occupa 30 persone, ma la proprietà (francese) ha annunciato da anni un grande investimento che però, per ora, non è arrivato.
Nelle adiacenze Air Liquide (40 lavoratori) e Sol Italia (20 dipendenti) che producono - commercializzano gas tecnici (fondamentalmente frazionano l’aria) alle piccole e medie imprese risentono un po’ della forte crisi dei propri clienti, mentre Rivoira (50 persone occupate) che produce sempre gas tecnici per il polo chimico, nonostante alcune sofferenze a livello nazionale, sembra non avere problemi.
Alla Cabot Italia, dove sono impiegate 35-40 persone per produrre nero di carbonio di alta qualità per specialties (guarnizioni ad alta pressione), ha rinnovato negli ultimi anni linee e centrale elettrica e viene considerato tra gli impianti più importanti ed economicamente sostenibili del gruppo in Europa (dove la multinazionale statunitense ha chiuso alcuni stabilimenti in Portogallo, Olanda e Polonia) «grazie al buon metodo di lavoro dei lavoratori ravennati», sottolinea Zoli.
Nello stesso settore è sempre sul «chi va là» invece la Orion Carbon - dove sono rimaste 35 persone dai ruggenti anni Novanta quando erano un centinaio quelle impiegate nell’ex Philip Carbon Black - in quanto il mercato di riferimento è quello dell’auto.
Infine Polynt, che occupa circa 40 persone, da quando c’è stato il passaggio di proprietà dagli svizzeri a Investindustrial (della famiglia milanese Bonomi) ha ripreso quota nonostante lavori anidride maleica principalmente per il settore dell’automotive (i suoi prodotti sono utilizzati principalmente nei paraurti) e in modo particolare per Fiat. Negli ultimi anni ha comunque diversificato le produzioni.