Čajkovskij, Rachmaninov e Musorgskij, questi i compositori scelti da Valery Gergiev per il suo ritorno al Ravenna Festival (sabato 14 giugno ore 21 al Pala de Andrè) sul podio dell’Orchestra Filarmonica Ceca, che vanta una storia segnata tra Ottocento e Novecento dai nomi di Dvoràk e Mahler, con la pianista Yeoul Eum Son, 28 anni, coreana, già con un ricco carnet di premi alle spalle. Un programma che dalla Russia guarda a Occidente. Si fa presto infatti a dire “musica russa”: perché se è vero che alla tradizione musicale russa si attribuisce quell’afflato profondamente lirico che la rende inconfondibile ai più, non si può tacere che lo sguardo dei grandi compositori russi ha spaziato in lungo e in largo sia verso Occidente, sia verso la propria terra. Vale per il Lago dei cigni (1877) di Pëtr Il’ič Čajkovskij, che guarda a Ovest spesso e volentieri, fosse solo per le tradizionali “danze caratteristiche” di ogni buon ballet blanc. Vale per il pathos tardoromantico del Secondo Concerto per pianoforte (1901) di Sergej Rachmaninov, e vale soprattutto per quell’opera genuinamente russa che sono i Quadri di un’esposizione di Musorgskij (1874), magistralmente trasfigurati dalla orchestrazione realizzata nel 1922 da Maurice Ravel.
Il concerto è reso possibile grazie al contributo della Banca Popolare di Ravenna.
Il rapporto di ‘amore-odio’ dei compositori russi per la musica occidentale costituisce il filo che lega in trasparenza la ‘locandina’ della serata. Iniziando con un autore “occidentale”. Pëtr Il’ič Čajkovskij scriveva infatti sinfonie su modello di importazione, amava l’Italia, il Don Giovanni di Mozart e i viaggi, non i fumi delle candele delle chiese bizantine. Aveva frequentato da allievo il Conservatorio di Pietroburgo e sarebbe stato chiamato tra i primi docenti di quello di Mosca, appena fondato da Nikolaj Rubinstein. Ma in tutta quella corrente occidentale aveva una carta solo sua da giocare, che avrebbe plasmato il nuovo pilastro del repertorio russo: il balletto. La bella addormentata, Il lago dei cigni, Lo Schiaccianoci danno voce come alcun altro capolavoro all’estetica di Čajkovskij, ma insieme catturano la spiritualità russa come pochi brani di repertorio. Dal fortunato ‘Ballet Blanc’ con le fanciulle trasformate in cigni dal crudele mago Rothbart, lo stesso compositore aveva cercato di predisporre, nel 1882, una Suite orchestrale. Ma senza pervenire a un risultato. Altri tuttavia portarono a termine il progetto, a partire dal suo editore, Jurgenson, che nel 1900 pubblicò una serie di estratti dal Lago dei cigni, seguito subito da diversi direttori d’orchestra, ciascuno con la propria scelta di pagine preferite. Le più frequentate rimangono il Valzer del primo atto, l’Introduzione del secondo, la ‘Danza dei cignetti’ e le Danze caratteristiche del terzo. Immancabile la Scena finale del quarto atto, con il suicidio di Odette e Sigfrido, finalmente uniti. Qui la scrittura di Čajkovskij, nella capacità di rielaborazione tematica e invenzione armonica, tocca uno fra i vertici di sapienza mai raggiunti, con risultati di struggente bellezza e drammaticità.