Paolo Soprani, Naviravenna: «Datemi una banchina, non i fondali»

Ravenna | 16 Giugno 2014 Economia
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Dove c’è un porto non può mancare un cantiere navale di riparazione: nel nostro si chiama Naviravenna, una società che dà lavoro a 65 persone e ha un indotto potenziale di altre 150, con 140 metri di banchina e 180 metri di bacino. A spiegare cos’è esattamente un cantiere navale di riparazione è l’ingegner Paolo Soprani, responsabile della società: «La nave è come una macchina: ha bisogno di fare il tagliando. I regolamenti dello shipping e i vari registri prevedono che la nave, una volta costruita, ogni 5 anni debba avere una visita molto importante, la ‘visita speciale’, e - entro 5 anni, ma circa ogni tre - una visita intermedia, con un’ispezione dello stato navale. Noi facciamo la manutenzione normale, ma siamo anche quelli che intervengono quando c’è un incidente, un’avaria, una collisione. Facciamo tutto, ci avvaliamo di chi è capace di riparare dal frigorifero al condizionatore, al tubo, al motore, alla pittura, alla parte elettrica, al radar; insomma qualsiasi cosa si trovi a bordo di una nave. Questa è la nostra competenza».
Chi sono i vostri clienti?
«Armatori napoletani, olandesi, tedeschi, livornesi, ravennati, la località non è una discriminante. Cerchiamo di prendere quello che c’è. Adesso ci stiamo impegnando per portare il cantiere nel nord Europa. Combattiamo una dura battaglia, non tanto con gli altri cantieri italiani, ma con Rijeka, dove ce ne sono anche di più grandi con costi della manodopera che sono circa la metà di quelli italiani e poi con la Turchia, con costi di manodopera di un decimo».
Perché i clienti vi scelgono?
«Perché abbiamo una volontà indomita di eseguire il lavoro nei tempi che servono all’armatore e, anche se ci fanno ridurre al massimo i costi, siamo sempre al suo fianco per risolvere il problema, non lo abbandoniamo. Il nostro è un lavoro entusiasmante, è bello risolvere tutti i problemi dell’armatore, ma la burocrazia ci uccide. Il problema più grosso per noi sono le banchine. Una volta c’era la darsena dove appoggiarsi, ma adesso con il ‘ponte immobile’ (problemi di varia natura impediscono di alzarsi, nda), non si può più accedere. A un nostro cliente di Piombino che aveva un problema con un salpancora abbiamo fatto, in passato, un lavoro di pronto intervento in due giorni, con un appoggio in darsena... un pit stop in Formula Uno. Oggi abbiamo tre chilometri di banchina intoccabile».
Si trova personale?
«No, perché è un lavoro di sacrificio: sono pochi i romagnoli, ci sono soprattutto siciliani, napoletani, albanesi trasferiti da tempo. Noi non ne abbiamo più voglia, cerchiamo il posto dietro la scrivania. Oggi ci passano sopra quelli che hanno fame e vengono dai paesi dell’est. E’ un problema generalizzato. A Ravenna l’unico istituto professionale, che potrebbe interessare il nostro campo, è quello di Piangipane, gli altri sono più mirati all’industriale che al navale».
E i fondali?
«Il fondale non è un problema per noi. Il nostro è un porto che ha la tendenza ad insabbiarsi, ma le navi che gestiamo noi - dalle draghe alle supply vessel, alle petroliere - sono al massimo da 20 mila tonnellate. E’ chiaro che se il fondale viene lasciato andare a 5 metri vado in difficoltà, ma ora hanno dragato e siamo a 7 metri. Per noi va bene».
Se avesse un desiderio da realizzare, cosa chiederebbe?
«Vorremmo soltanto poter lavorare: vorremmo avere la possibilità di contrastare il costo del lavoro dei nostri concorrenti che sono la Turchia e la Croazia per essere veramente concorrenziali. E a Ravenna chiediamo qualche banchina dove poterci appoggiare di tanto in tanto».
Previsioni per il futuro?
«Veniamo da 4 anni di sofferenza totale di lavoro perché non c’è, di pagamenti perché gli armatori hanno noli bassi e hanno difficoltà a pagare, ma per fortuna con poche perdite reali. Nel 2014, sebbene siamo abbastanza impegnati come quantità di lavoro, siamo in difficoltà perché gli armatori hanno problemi a pagare puntualmente e le banche non danno più nessun aiuto. Se adesso il sistema bancario ci desse, visto che non abbiamo mai avuto problemi, gli stessi affidamenti che avevamo tre anni fa, saremmo a posto. Dal 2009 ad oggi abbiamo avuto una riduzione del fatturato del 30%. Quest’anno speriamo di riuscire a vedere una risalita».

Elena Nencini
cultura@settesere.it


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