Capanni, raccolta firme e regolamento, dibattito aperto
«Condividiamo appieno l'idea che i capanni rientrino nel patrimonio storico e culturale del territorio. Per questo ci siamo trovati d'accordo con buona parte della petizione presentata dai capannisti».Vuole sgombrare il campo da qualsiasi dubbio l'assessore comunale all'Ambiente Guido Guerrieri, presente mercoledì 12 marzo alla discussione della petizione in consiglio comunale avanzata dalla «Cooperativa fruitori degli ambienti naturali». «Sia chiaro però – precisa l'assessore – che non potremo concedere alcuna sanatoria in materia di vincoli ambientali». Riguardo al regolamento, dopo l'adozione dello scorso anno, si è aperta la fase di raccolta delle osservazioni, che verranno vagliate dalle commissioni. «Le osservazioni sono state un'ottantina – spiega Guerrieri – e hanno prodotto 151 schede. Una volta esaminate le richieste, il documento tornerà in consiglio comunale e verrà approvato. Prevediamo circa un paio di sedute per esaminare le osservazioni che, credo, riusciremo ad evadere per fine aprile. Entro l'estate, poi, contiamo di dare l'approvazione definitiva». Stefano Savoia è il presidente dell'associazione Fruitori della Baiona e si dice «molto soddisfatto, in quanto il senso della nostra petizione è stato colto in pieno. Tra i 3500 firmatari ci sono anche non ravennati e persone che non possiedono alcun capanno. Questo significa che l'interesse è, per tutti, quello di salvaguardare in primo luogo una passione». Nella pialassa della Baiona i capanni sono all'incirca duecento, «di cui metà regolari - osserva Savoia - e un centinaio non concessionati. In quella dei Piomboni sono invece un centinaio: 55 hanno una scrittura privata con Sapir, che dava loro la concessione a patto però che, se l'azienda avesse dovuto realizzare delle banchine, i capannisti avrebbero dovuto rinunciare all'area; cinquantasette risultano invece senza scrittura privata e venti con concessione comunale». Una realtà variegata, di cui si è discusso a lungo anche in seduta consigliare. «Abbiamo apprezzato gli interventi dei vari gruppi consiliari – prosegue il presidente - che si sono impegnati a valutare una per una le 151 schede di osservazioni pervenute. Ci hanno garantito che, nei limiti permessi, ne terranno conto. Lo scoglio importante sarà il piano di fruizione, che fornirà elementi in merito al recupero dell'esistente. Qui entrerà in ballo l'importanza della storicità delle strutture, aspetto da noi più volte evidenziato». Soddisfazione è stata espressa anche da Roberto Mazzetti, presidente della cooperativa Fruitori degli ambienti ravennati che ha voluto sottolineare: «ci sono venuti incontro parecchio, per questo siamo soddisfatti. L'Amministrazione ha capito che i capanni da caccia e da pesca fanno parte del nostro paesaggio e della nostra tradizione». Andando a ritroso nella storia, Mazzetti ricorda quando, negli anni '40, «ai capanni non serviva la regolarizzazione. La zona della Baiona era di proprietà dei conti Baldi e per costruire bastava l'autorizzazione delle guardie venatorie. Siamo però consapevoli che i capanni sorti dopo il '70, se abusivi, verranno abbattuti e ricreati secondo nuove regole comunali. Si dovrà smaltire l'eternit e chi non le ha dovrà realizzare le fosse biologiche. I capanni – conclude - sono una tradizione romagnola e non si possono togliere. Si immagina sradicare il capanno Garibaldi o quello dei Spinaroni? Sarebbe impensabile». (Federica Ferruzzi)
Ferdinando Morini, uno dei promotori della petizione, in materia di capanni ha un'esperienza quarantennale. «Venticinque anni fa ne avevo uno nella Valle Fattibello, a Comacchio - racconta -. Da alcuni anni, invece, ho una quota alla Pialassa Baiona. Per me il capanno è modo per incontrare gli altri e per vivere una condivisione che altrove si fa fatica a trovare. Nel dopoguerra - prosegue - nei capanni, anzi nei padelloni, ci si sfamava. Oggi, invece, si socializza».
E' questo l'elemento che, per Morini, va salvaguardato. «Quello che più mi amareggia è che la politica ed i regolamenti sono distanti dalla quotidianità. Le norme fanno fatica a capire le tradizioni di un mondo che non vogliamo vedere scomparire». La domenica prima del consiglio comunale, Morini ha bussato capanno per capanno per annunciare, a chi ancora non lo sapeva, la discussione della petizione a Palazzo Merlato. «Ognuno mi ha invitato ad entrare e mi ha offerto qualcosa: chi un dolce, chi un bicchiere di vino. Era una meraviglia vedere i capanni pieni di gente accogliente. Una socialità del genere si fa fatica a trovare al di fuori di certi contesti». Morini oggi può frequentare il capanno una volta la settimana, in base ai turni che gli spettano in accordo con i soci. «Quando mi tocca, mi organizzo con gli amici, ma non giochiamo solo a carte: c'è molto da fare in un capanno e qualcuno che ti aiuti lo si trova sempre. Poi si cucina il pescato: la giornata è piena e la si trascorre all'insegna del vivere sano».
Nel piatto per lo più pesce azzurro, a seconda del pescato. «Si mangiano sardoni, acquadella e, a volte, per spezzare la fame, si porta da casa un buon salame o un po' di affettato». Non sempre, però, quanto si pesca è sufficiente per sfamare i presenti. «A Comacchio - ricorda Morini - capitava che, quando non c'era pesce a sufficienza per tutti, si desse un'aggiunta andando ad acquistarne in pescheria». (fe.fe.)