Il sipario sulla stagione con ‘Il matrimonio segreto’, l’opera buffa per eccellenza
La Stagione d’opera del Teatro Alighieri si concluderà a marzo con ‘Il matrimonio segreto’ di Domenico Cimarosa, capolavoro del genere buffo in scena sabato 15 (ore 20.30) e domenica 16 (pomeridiana alle 15.30). In un allestimento - in buca l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini diretta da Julian Kovatchev – che è frutto della coproduzione con il Teatro del Giglio di Lucca, in collaborazione con il Teatro Comunale di Ferrara, il Teatro Sociale di Rovigo e il Teatro Mario Del Monaco di Treviso, dove nel 2012 ha iniziato il suo percorso, affidato a Italo Nunziata per la regia, Pasquale Grossi per scene e costumi e Patrick Latronica come light designer. Il cast vocale è composto da Salvatore Salvaggio, nei panni del Signor Geronimo, Lavinia Bini in quelli di Carolina, mentre Matteo Falcier è Paolino, inoltre da Giulia Semenzato, che interpreta Lisetta e da Loriana Castellano, Fidalma, entrambe chiamate a partecipare all’allestimento in quanto vincitrici del XLII Concorso Internazionale “Toti dal Monte”. Infine, il Conte Robinson è Omar Montanari.Il matrimonio segreto costituisce senza dubbio il capolavoro più celebrato di Cimarosa, uno degli ultimi giganti della Scuola Napoletana ad aver dominato l’Europa, per il quale Vienna, come per Paisiello, rappresentò una tappa obbligata nel viaggio di ritorno dalla Russia a Napoli. Giunto nella capitale austriaca nel 1791, Cimarosa fu richiesto dall’Imperatore Leopoldo II per un’opera da rappresentarsi al Burgtheater, il primo dei due teatri di corte. Il compositore di Aversa ne scrisse due: appunto Il matrimonio segreto nel 1792 e Amor rende sagace nel 1793, entrambe su libretto di Giovanni Bertati, anch’egli a Vienna come poeta di corte.
Il Matrimonio andò in scena la prima volta il 7 febbraio 1792, giornata faticosa per quei primi interpreti: il pubblico era tanto divertito ed entusiasta da prolungare molto più del dovuto la recita con lunghissimi applausi e continue richieste di bis. Ma poi, neppure a teatro chiuso i cantanti riuscirono a riposare, poiché l’Imperatore stesso, innamoratosi al primo ascolto dell’opera, dopo aver invitato tutti a cena, fece ripetere privatamente l’intera rappresentazione. A un successo così folgorante non poté che far seguito una duratura fama internazionale: Il Matrimonio fu presto allestita nei maggiori teatri d’Europa divenendo uno dei primissimi esempi di opera “di repertorio” e, da allora, figura ininterrottamente nei cartelloni come una delle opere buffe per eccellenza.
Certamente uno dei segreti del suo successo sta nell’argomento e nel garbo con cui musicista e librettista seppero trattarlo: una commedia sentimentale che mette in scena le ansie e le difficoltà di due giovani amanti infelici in un contesto di pettegolezzi, scortesie ed egoismi. Nonostante la presenza di elementi caricaturali (il pubblico aristocratico viennese avrà sicuramente riso del borghese babbeo con sogni di nobiltà), il tratto fondamentale della commedia consiste nell’espressione positiva dei valori etici del tempo e in particolare della difesa dei sentimenti naturali sostenuti da Rousseau: nell’opera, infatti, le ragioni del cuore sconfiggono quelle dell’interesse. La vicenda, all’epoca già più volte portata in scena in Francia come in Inghilterra, trae origine da un ciclo di incisioni dell’inglese William Hogarth (Le Mariage à la mode, 1943-45), una storia tragica dai contorni satirici che, nelle versioni teatrali, come quella di George Colman senior e David Garrick cui si ispirò Bertati, si tramuta in commedia e, nell’opéra-comique francese, si carica di sentimentalismo. In breve, la trama oppone il matrimonio avvenuto in segreto tra Paolino e Carolina agli equivoci che si generano sia dal rifiuto del Conte Robinson di sposare, come da contratto, Elisetta, poiché innamorato proprio di Carolina, sia dalle strategie messe in atto dalla vedova Fidalma per risposarsi con Paolino, di cui è a sua volta innamorata.
La satira di Bertati e Cimarosa, naturalmente, sfocia in un lieto fine a cui, una volta fallite le trame di ognuno per ottenere il proprio interesse, si arriva grazie alla goffaggine degli stessi protagonisti. Il mercante Geronimo, vecchio e sordo, è facilmente ricattabile dal Conte Robinson e dalla sorella Fidalma che, in quanto ereditiera, garantisce per la famiglia; il Conte, inizialmente presuntuoso e convinto di ottenere Carolina invece che Elisetta, rimane del tutto estraneo alle trame di Fidalma, Elisetta e Geronimo che vorrebbero far ritirare Carolina in un convento; l’ingenuo Paolino, che sviene alla dichiarazione d’amore di Fidalma, combina una fallimentare fuga notturna con Carolina. Sarà proprio il Conte, “uom di mondo” a risolvere la situazione, accettando di sposare Elisetta, di fronte alla rivelazione del “matrimonio segreto”.
Proprio sulla leggerezza degli intrighi dell’opera di Bertati e Cimarosa si basa la regia di Italo Nunziata: “Cosa c’è di più intrigante, di più seducente, di più avvincente del termine ‘segreto’ contenuto in una frase? — si chiede il regista — Il solo titolo di un’opera come Il matrimonio segreto, se anche non ne conoscessimo già la trama, varrebbe di per sé ad attirare la nostra attenzione e la nostra curiosità, la nostra voglia di saperne di più”. E così l’attenzione si sposta dalla satira sociale alle dinamiche tra i personaggi: “Ognuno di loro ha qualcosa da nascondere, qualche piccolo ‘scheletro nell’armadio’, qualche segreta ambizione o piccola mania da poter svelare volta per volta, ‘in segreto’, a qualcuno o, al contrario, tener ben celata al pubblico sguardo” Segreti che innescano il rocambolesco susseguirsi degli equivoci, ed è per questo che il pensiero del regista va alle “indimenticabili commedie dell’equivoco di autori partenopei quali Scarpetta o De Filippo […] Proprio la commedia Miseria e nobiltà di Scarpetta e la spassosissima versione cinematografica, di cui era protagonista Totò, mi hanno portato, insieme all’autore del disegno luci, a velare la spazio e le azioni sceniche di colori e sfumature che ritroviamo in alcune pellicole del passato, grazie all’utilizzo dell’allora innovativa invenzione del technicolor”.
Sono gli spazi, gli oggetti in scena e gli abiti, invece - progettati insieme allo scenografo e costumista Pasquale Grossi e al light designer Patrick Latronica - a rappresentare la società a cui appartengono i protagonisti, calata tuttavia non alla fine del Settecento, ma “alla fine del XIX secolo, periodo in cui la classe borghese iniziava a mostrare le sue più evidenti crepe sociali”. Così, la vicenda si svolge in uno “spazio/contenitore di una gran quantità di mobili, di oggetti, di suppellettili, sottolineando ancor di più lo status di mercante del protervo capo famiglia, al cui accumulo di oggetti di una più elevata classe sociale manca solo ‘l’acquisto’ di un vero e proprio titolo nobiliare, grazie al matrimonio di una delle sue figlie con uno squattrinato conte”.