I 20 anni di Sos Donna, da 10 a 190 assistite
Dalla decina di donne aiutate nel 1994 (un servizio di linea telefonica, attiva solo per qualche serata a settimanale) alle 190 aiutate l’anno scorso: ne ha fatta di strada Sos Donna che sabato prossimo festeggerà i suoi primi 20 anni di attività. «Parallelamente alla nostra associazione – spiega la presidente Antonella Oriani – è cresciuta anche la consapevolezza delle donne e della società sul problema della violenza di genere. All’inizio degli anni ’90 era praticamente sconosciuto, quasi clandestino, ora abbiamo un centro antiviolenza, il centro Fenice, dal 2009 due case rifugio, e dall’anno scorso anche una casa di Pronta Emergenza, andiamo nelle scuole, facciamo attività con l’assessorato. Il clima è cambiato». La svolta, secondo la presidente, è avvenuta all’inizio del 2000, quando l’associazione ha firmato la sua prima convenzione con il Comune che assicura tuttora le risorse per attivare con continuità il centro anti-violenza: «Per chi ha bisogno d’aiuto, sapere che ci sei, in certi orari, con continuità, è importante. E far parte di una rete con altre istituzione del territorio, ti permette anche solo di pubblicare un volantino multilingue per farti conoscere di più come associazione in città». In tutto sono una ventine le volontarie che danno una mano.
Nel ’94, invece, tutto era un po’ da inventare. L’associazione, ricordano due delle fondatrici Patrizia Bellini e Anna Alberelli, nacque dallo shock per due fatti di cronaca di quegli anni che ebbero per vittime proprio due donne: «Una era Maurizia Panzavolta, era la collega di una di noi – ricorda Bellini -. E questo fatto ci spinse a cercare un modo per affrontare il problema in maniera più organizzata: non c’era di fatto un luogo fisico dove poter parlare seriamente di questi temi». Così lo crearono, in una sezione degli allora Ds, in via Bubani: «Eravamo 5 o 6 volontarie, facemmo un po’ di formazione alla Casa delle Donne di Bologna, e poi partimmo con una linea telefonica che era attiva quando la sede non serviva ai legittimi proprietari, qualche sera a settimana». Le prime chiamate furono puramente esplorative: «Volevano sapere cosa potevamo offrire – prosegue la Bellini – non era semplice denunciare di esser state vittime di violenza all’epoca, in poche ne avevano consapevolezza sufficiente. In breve, ci siamo rese conte che avevamo bisogno dell’aiuto di professioniste (avvocati etc..)». Uno dei primi casi capitati ad Anna Alberelli, ad esempio, fu quello di una ragazza giovanissima che abitava nelle colline attorno a Faenza e che per anni aveva subito violenza dal padrone del terreno sul quale lavorava i suoi genitori (con la loro noncuranza). Storie da Medioevo, e che invece risalgono a meno di 20 anni fa. «All’inizio non c’erano grosse differenze sociali: venivano le mogli dei professionisti, come le donne più semplici. Ma la consapevolezza era molto minore di oggi: una volta mi ricordo di aver avuto difficoltà a fare una denuncia, l’ufficiale pubblico che avevo di fronte minimizzava. Ora c’è molta più collaborazione».
Nel tempo, poi, purtroppo, è cambiata anche il grado e il tipo di violenza denunciata: «Stiamo assistendo ad un incremento della violenza fisica – racconta la Oriani – che l’anno scorso ha interessato 144 donne su 190, c’è più consapevolezza di quella che è una violenza anche economica e di quella sessuale all’interno della coppia. C’è poi un aumento del range anagrafico delle donne che si rivolgono a noi: aumenta la fascia tra i 60 e gli 80 anni, ma anche quella delle minorenni e anche le migranti denunciano di più (sono il 38% del totale)». (Daniela Verlicchi)