Gianni Dragoni: «Più fiducia e meno tasse»
«Bisogna subito abbassare le tasse e ridare fiducia alle persone, altrimenti la crisi in Italia durerà a lungo. Gli imprenditori fanno bene a far sentire la loro voce, ma senza un Governo forte è difficile cambiare le cose». Gianni Dragoni, 57 anni, fusignanese trapiantato a Roma, giornalista economico per Il sole 24 ore ed opinionista per la trasmissione de La7 Servizio Pubblico, descrive così lo stato dell’economia italiana che porterà in piazza artigiani e commercianti martedì 18 e una verifica Governo-Confindustria mercoledì 19. Dragoni ha anche pubblicato i libri «La paga dei padroni» (con Giorgio Meletti, 2008), «Capitani coraggiosi»(2011), «Banchieri & compari» (2012); gli e-book «Alta rapacità» (2012), «Ilva, il padrone delle ferriere» (2012), «Ligresti story».
Cosa ci deve preoccupare di più tra crisi, disoccupazione, tasse elevate, mancata crescita?
«Quello che preoccupa di più è l’aumento della disoccupazione. Un organo indipendente come la Banca d’Italia ha stimato un aumento nel 2014 e probabilmente anche nel 2015. E poco importa se nell’ultimo trimestre 2013 il Pil avrà davanti il segno positivo come sostengono Letta e Saccomanni (visto che i dati Istat usciranno solo a inizio marzo). Con un forte calo negli ultimi anni, c’è poco da gridare alla ripresa».
Quali sono i mali principali dell’economia italiana?
«Bisogna partire dal fatto che da vent’anni abbiamo una crescita pressoché pari a zero. Ora soffriamo gli scarsi investimenti dovuti al fatto che le condizioni per le imprese sono insopportabili: pressione e cuneo fiscali sono sempre aumentati e quindi i costi per le imprese in regola sono altissimi. Inoltre l’enorme evasione fiscale crea, tra le altre cose, anche una concorrenza sleale tra imprese a discapito di quelle oneste e la burocrazia aumenta i costi per tutti».
La situazione come potrebbe migliorare?
«Se devo indicare i due elementi prioritari per costruire una ripresa sono fiducia e tasse. Il ritorno della fiducia è possibile solo se c’è un Governo che sia credibile e che agisca in modo tale da far rispettare a tutti le regole, magari investendo anche nella scuola, nella ricerca e favorendo il merito. Da un punto di vista più pratico nell’immediato c’è il problema degli investimenti: bisogna ridurre subito le tasse».
E’ fattibile?
«Sicuramente non è sostenibile che aumentino sempre, visto che a questi livelli le tasse provocano un aumento della disoccupazione e calano i consumi creando importanti danni sociali. La spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito, è di 700 miliardi di euro l’anno: non è impossibile pensare a risparmi ed economie, il che non significa necessariamente tagli, ma anche spendere meglio».
Le Pmi scenderanno in piazza il 18 febbraio, mentre - se sarà ancora al suo posto - Letta incontrerà il direttivo di Confindustria il 19. La pazienza delle imprese è finita?
«Da tempo lo dicono. Ultimamente i toni sono più allarmati visto che la situazione si è aggravata e si potrà aggravare ancora. Ho la sensazione che il Governo Letta abbia avuto come obiettivo di sperare nello storno internazionale di una ripresa che invece non arriva, senza esprimere una sua progettualità».
Sortiranno effetti?
«Data la debolezza del Governo non c’è da aspettarsi più di tanto, ma è giusto mostrare il proprio dissenso».
Come percepirebbero all’estero un nuovo Governo o il voto?
«Se il cambio è abbastanza rapido non sarebbe necessariamente un elemento negativo, ma bisogna vedere quali contenuti avrebbe. Su Renzi ho molte riserve: finora ha ottenuto consenso più con slogan che contenuti. Alla prova dei fatti è però ancora da misurare. Il voto sarebbe decisamente più negativo, anche perché non significherebbe, con ogni probabilità, avere un governo più stabile e facile».