I negozianti dell'area della stazione esasperati dallo spaccio ad opera di tunisini

Ravenna | 12 Gennaio 2014 Cronaca
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«Le luminarie di Natale che si fermano all'inizio di viale Farini sono il simbolo di quello che stiamo vivendo. Da lì in poi c'è solo il buio ed inizia un'altra città». A parlare è il proprietario di uno degli esercizi della zona a ridosso della stazione che, negli ultimi tempi, è stata oggetto di risse e problemi legati alla sicurezza. Marco, il nome è di fantasia, è solo uno dei tanti negozianti di viale Pallavicini, via Carducci e viale Farini vittime delle sopraffazioni di un gruppo di tunisini che quotidianamente, stando alle segnalazioni, spacciano nella zona. L'ultimo episodio di violenza, lo scontro tra extracomunitari culminato con l'aggressione ad un tunisino nella notte di sabato 4 gennaio, ha riportato il problema all'attenzione della città. «Ho acquistato il locale nel 2008 - spiega Marco - e per due anni qui intorno si poteva incontrare al massimo un ubriacone. Dal maggio del 2010, dalla cosiddetta “primavera araba”, davanti al mio locale si contavano circa 300 tunisini che stazionavano nello stesso posto da mattina a sera. Un centinaio è finito in galera, gli altri sono sparsi in città. Di vista - prosegue - li conosco tutti: questa mattina ero al pronto soccorso e ne ho incontrati tre, venuti a farsi medicare dopo una rissa. Dichiarano permessi di lavoro, ma una occupazione non l'hanno, stipulano finti matrimoni per evitare di essere cacciati, ma la loro attività è solo quella dello spaccio». Spostandosi di poco intorno ai giardini Speyer, un altro locale lamenta la perdita di numerosi clienti dovuta al problema di sicurezza che si è venuto a creare negli ultimi anni. Anche in questo caso la paura di ritorsioni è forte e gli intervistati chiedono di non rivelare le loro generalità.
«Sono in questa posizione da sei anni – racconta la proprietaria di un negozio che vende di tutto, dalla carne allo shampoo – e la situazione è peggiorata anno dopo anno. Ho una vetrata rotta da quattro mesi ma non vale la pena sistemarla, perchè abbiamo già perso diversi soldi con la diminuzione dell'attività. In precedenza lavoravo fino alle 22, oggi chiudo verso le 19.30 perchè la gente di sera non viene, ha paura». Dichiarazioni simili sul lato di via Carducci, dove Arshad Sheak, commerciante del Bangladesh, vende scialli e bigiotteria dal 2005. «All'inizio mi trovavo benissimo – racconta Sheak -, di spacciatori non ce ne erano. Oggi si peggiora giorno dopo giorno. Prima di Natale è venuto anche il sindaco, ma non sta cambiando nulla. Le mie clienti sono prevalentemente donne e anni fa lavoravo fino alle 20, ma oggi le clienti vengono di mattina perchè la sera hanno paura. Siamo 250 bengalesi a Ravenna, lavoriamo tutti e vogliamo stare tranquilli. Chi ha un kebab, chi un alimentari. Io, nel mio genere, sono stato il primo ad aprire a Ravenna».  Di quei 250 fa parte anche Uddin Jalal, che inaugurò il suo negozio sei anni fa.  «Allora la situazione era diversa – racconta Jalal –. Purtroppo i tunisini compromettono la reputazione degli immigrati che lavorano onestamente. L'Italia è un paese democratico, non come il nostro.  Qui ci sono rispetto e umanità». Oltre la porta d'ingresso, al di là della vetrina, un signore esce insieme al figlio da un portone di via Carducci. «Abito qui da otto anni - spiega in accento straniero – e in questi anni la situazione è degenerata. Due mesi fa abbiamo fatto una riunione con il sindaco e i volontari di Cittàttiva, ma non è servito a nulla. Qui si continua a spacciare e a bere, soprattutto durante il giorno». A chiedere una soluzione è anche il capogruppo di Lista per Ravenna Alvaro Ancisi, che affida ad una nota la propria richiesta: «Basta chiacchiere, occupiamoci di Ravenna. Diamo al sindaco tempo un mese per verificare se i cittadini rispettosi della legge potranno tornare a transitare a piedi, sostare e frequentare gli esercizi nella zona dei viali Farini e Pallavicini e dell'isola San Giovanni/Giardini Speyer, ripulita dai delinquenti. Dopodichè l'opposizione si avvarrà degli strumenti di legge che possiede per chiamarlo a deporre sul suo operato in consiglio comunale, davanti a tutta la città».

Federica Ferruzzi
cronaca@settesere.it
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