Vent'anni di Alessandro Ristori domenica 18 al PalaCattani

Faenza | 18 Dicembre 2016 Cultura
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Federico Savini
«Noi italiani siamo bravi, siamo solari e sappiamo risolvere i problemi con semplicità. All’estero ce lo riconoscono e ce lo invidiano. Poi, certo, spesso siamo fin troppo bravi anche a crearcele le difficoltà e viviamo tempi complicati, che hanno messo in crisi anche il mio inguaribile ottimismo. Quello che cerco di fare con i miei spettacoli è ricordare a noi stessi quello siamo, non solo quello che siamo stati». Ne ha fatta di strada Alessandro Ristori, da quando vinceva i concorsi canori locali e scorrazzava tra le bancarelle fino a conquistare i palcoscenici di Montecarlo e di parecchi Paesi europei all’insegna del mito dell’Italia del boom, che con le sue canzoni e la sua prestanza scenica sa evocare meglio di tutti i suoi coetanei. A ricordarlo proprio nella città da cui è partito sarà «Ristori20. 1996-2016», il concerto evento che il cantante terrà domenica 18 alle 18 al PalaCattani di Faenza, proprio per celebrare i vent’anni del suo percorso artistico. «Abbiamo scelto di mantenere un prezzo popolare, coi biglietti a 10 euro – spiega Ristori -, perché vogliamo sia una festa, col 20% dell’incasso che andrà alla Protezione Civile per aiutare i terremotati del centro Italia. La biglietteria è attiva al PalaCattani e ci sono tanti punti per la prevendita sparsi nel faentino e sulla collina (vedi Ristori20 su facebook)».
Nel 1996 avresti mai pensato di festeggiare un ventennale come cantante?
«Sì, sono ottimista di natura e ci ho sempre creduto tanto. Poi non saprei cos’altro fare, davvero, non ho un piano B. Mi ci vedi a riciclarmi come ristoratore o altro?».
Non porrei limiti alla Provvidenza, ma mi sembri convinto. Però eri partito dal teatro, giusto?
«Sì, inizialmente a scuola e poi negli anni dell’adolescenza, grosso modo tra il ’93 e il ’96 ho partecipato a diversi laboratori, era un periodo di grande fermento culturale in Romagna. Ogni volta che vado a dormire, anche quando lo faccio alle 6 del mattino, nelle mie preghiere ricordo suor Chiara e le dico che se faccio questo lavoro è anche colpa sua! – ride, nda -. Il teatro è stato fondamentale. Punto molto sulla presenza scenica e le ossa me le sono fatte col teatro. Anche da spettatore non riesco a scindere del tutto la ‘musica’ dallo ‘spettacolo’. Io poi sono molto teatrale nel mio quotidiano, porto sul palco la mia vita».
Quand’è diventata una cosa seria?
«Nel ’96, vinsi un paio di concorsi e portai a casa uno stereo e un viaggio. Non ci ‘mangiavo’, certo, però potevo provarci. Tra il ’99 e il 2004 il ‘lavoretto’ è diventato un mestiere, con passaggi in tv, tanti concerti e grande sostegno a livello locale».
Sei emerso in un periodo in cui c’era grande fermento per la musica «vintage», penso ai Montefiori Cocktail e ai Good Fellas. Ti senti in qualche modo vicino a loro?
«Tributare il rock’n’roll italiano di Celentano, Gaber e Jannacci è stata una mia idea fin dall’inizio, li ho sempre amati. Montefiori e Good Fellas si muovevano tra il lounge e lo swing americano ma c’era, in effetti, una specie di continuità con questi gruppi, e anche col tributo ai Beatles dei Vergas. Questo ciclo legato a un’idea di ‘revival’ delle vecchie icone è durato un decennio, poi è arrivata internet».
Ma la rete non ha il potere di far riemergere il passato semplicemente mettendolo a disposizione?
«Sì, però non ha il potere iconico delle televisione. Internet illumina delle comete che spariscono in fretta, mentre l’era della televisione per il mondo dello spettacolo è stata una specie di Paradiso, creava miti duraturi, imprimeva immaginari. Io ho un sito dal 2000, ma devo dire che con internet non ho una gran sintonia. Del resto la mia generazione è ‘di mezzo’ in tutti i sensi, non siamo né vecchi né giovani, siamo cresciuti nel benessere ma oggi conosciamo bene la durezza dell’attualità».
E’ stato più semplice uscire dalla Romagna o dall’Italia?
«E’ successo praticamente in contemporanea! Nel 2007, insieme a Lorenzo Staffa, creammo i Portofinos per rievocare l’Italia del boom. Ci proiettammo verso l’estero e nel giro di poco suonammo in Russia, Lettonia, a Monano, in Austria e Germania, ma Montecarlo rimane il luogo a cui siamo più legati. Domenica al Cattani canterà con me Alexandra Miller, anche lei habitué dei palchi di Montecarlo, e proprio per Montecarlo partiremo coi Portofinos dopo il concerto di Faenza, per rimanerci dodici giorni. Il tutto arrivando la mattina di domenica 18 direttamente dalla Russia…»
Cosa piace di te all’estero?
«Punto su eleganza, spontaneità e qualità, dai suoni al contesto dello show. Mi sento ambasciatore di un’Italia che non c’è più, ma perché ce ne siamo dimenticati. Il mito dell’Italia piace sempre all’estero».
Come si «toglie la polvere» a canzoni di 50 e più anni fa?
«Io cerco di evocare il passato senza esserne schiavo, evito la filologia e la nostalgia. Al Cattani porterà un nuovo spettacolo pensato per i teatri, che porterò in giro per l’Italia in estate. Ci sono anche elementi futuristi, come i boomerang alla Burri progettati dallo scenografo Davide Tagliaferri. La musica è sempre centrale, ma lo spettacolo è fatto di tante altre cose».
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