Volley, quando a Ravenna passa lo straniero: Falardeau ha tanti modelli da seguire

Romagna | 02 Ottobre 2023 Sport
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Marco Ortolani
Gli stranieri sono giunti nella pallavolo italiana già negli Anni Sessanta, preceduti dai calciatori e dai cestisti. Da subito la «spaghetti league» (il campionato italiano) è diventato un luogo ambito: belle città, buon cibo, pubblici appassionati, campionati competitivi, qualche soldo che, nei Paesi d’origine, il volley non garantiva. Argentina, Brasile, Stati Uniti, i Paesi delle prime provenienze, più tutto il blocco dell’Est Europa (ad eccezione dell’Urss), grazie anche ai buoni uffici di un dirigente ivi molto apprezzato, il ravennate e compianto Vanni Monari, capace di «tradurre» le rigidità politico-burocratiche di quel tempo. A Ravenna apre la serie Szymczyc nel 1974, ma il polacco è a fine carriera ed esprime un valore tecnico modesto, che rende il giovane Recine (lineamenti da europeo del NordEst) il vero «straniero» della squadra, tanto da essere soprannominato Recinski e poi Cinski, nome di battaglia mai più abbandonato. Negli Anni Ottanta in A2 apprezziamo il serioso cecoslovacco Rerabek, mentre falliscono gli attesissimi statunitensi Reynolds e Roberts, dall’interpretazione troppo disinvolta del «sogno italiano».  Brusi rileva la società sul finire degli Anni Ottanta e, con Daniele Ricci, punta sul bomber croato (all’epoca jugoslavo) Nurko Causevic, che trascina la squadra in A1, dove gli vengono affiancati prima lo statunitense Berzins, poi il sovietico Pancenko (primo pallavolista ad arrivare in Occidente dalla Russia). I due anni di Kiraly e Timmons sono i più splendenti e la loro gloria romanzesca rischia di oscurare il valore immenso del russo di Sebastopoli Dmitry Fomin e del brasiliano Giovane Gavio, con i quali si sfiorano soltanto altri scudetti, ma si portano a casa due Coppe dei Campioni. Tralasciamo il finale decadente degli anni Novanta (dove comunque giocano a Ravenna nomi di rilievo come il francese Chambertin, i cubani Benito e Cardona, e soprattutto l’olandese Nummerdor) e i lunghi anni del declassamento (senza stranieri). Ravenna ritrova la A2 nel 2011 con regole che consentono molti stranieri per squadra. Arrivano, fra gli altri, il baltico Miseikis, il finlandese Lehtonen (oggi allenatore della nazionale femminile svedese) e lo sloveno Plesko, anche se sono gli italiani a «tirare» di più. In A1 i primi anni sono caratterizzati da scelte poco efficaci (ma il belga Verhanneman era ancora nella rosa del Belgio agli ultimi Europei). La gestione Cormio porta i francesi Toniutti e Tillie, lo sloveno Cebulj, l’olandese Van Garderen. Con Bonitta dg la pesca degli stranieri diventa semi-miracolosa, con una tripletta di opposti praticamente da favola: Buchegger (Austria), Rychlicki (Lussemburgo) e Vernon Evans (Canada) prime «bandierine» ravennati per i rispettivi Paesi. Poi lo sloveno Kovacic e altri due canadesi Loeppky e Koppers. Il declassamento in A2 riduce a una sola unità la quota stranieri: nel primo anno è occupata, solo a campionato iniziato, dal panchinaro francese Ngapeth. 
Ora arriva il quarto canadese: Evan Falardeau. Per lui garantisce il coach del college John Barrett, che fece sfracelli a Bologna (fu fra i primissimi battitori in salto). «E’ forte in attacco e ha molta voglia di imparare e sfruttare l’esperienza italiana», dice Bonitta che, con lui, vuol provare a tornare nel volley che conta. 
E le donne? Dalla bulgara Tzvetana Bojourina nel 1983 alla contorta e recentissima statunitense Taylor Fricano una cometa di stelle (ma anche di bidoni), con dominicane, portoghesi e campionesse olimpiche, ma senza canadesi. Ma questa è un’altra storia. 
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