Volley, l'exploit di Bovolenta Jr ai Mondiali: «Ale e quella voglia di vincere che gli ha trasmesso suo papà»

Romagna | 05 Settembre 2021 Sport
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Marco Ortolani
«Fino a pochi mesi fa era tutto fermo, questi ragazzi non potevano neanche allenarsi e Ale stava in casa con me. Adesso lo guardo in tv che gioca in un Paese lontano, con quella maglia così importante». Federica Lisi sprigiona tutto il suo entusiasmo nel parlare dell’avventura azzurra del figlio Alessandro Bovolenta, impegnato (come l’altro romagnolo Mattia Orioli) nei Mondiali Under 19 di volley che si giocano a Teheran, capitale dell’Iran. «Ale mette sempre in campo quella voglia di vincere che gli hanno trasmesso mamma e papà, ma è anche un tipo che fa gruppo». Il giovane Bovolenta vestito d’azzurro non può che richiamare lo struggente ricordo del padre Vigor per la fisionomia e le movenze, anche se è diverso il ruolo (Vigor era centrale, Ale gioca opposto) e il numero (Ale indossa il 7, il papà giocava col 16). «L’azzurro è un’esperienza speciale da vivere intensamente ogni minuto. Anch’io giocai i Mondiali Under 17 in Thailandia con Delgado allenatore e con le ragazze di allora si creò un legame che dura tuttora». Mamma Federica è prodiga di affetto per il gruppo azzurrino: «Sono tutti ragazzi eccezionali che onorano la maglia non solo per il valore sportivo (l’Italia ha vinto le prime sei partite del girone e si è qualificata per i quarti di finale, persi al tie-break contro la Bulgaria dopo aver sprecato ben quattro match-ball nel quarto set, ndr), ma anche per i comportamenti in campo e fuori e per la qualità umana del gruppo che hanno costruito». Come si è svolta la vostra attività di «video-ultras»? «Le partite dell’Italia si sono svolte al mattino (l’Iran ha un anomalo fuso avanti di due ore e mezza, ndr) e quindi io e la ciurma (gli altri 4 figli, ndr) ci svegliavamo sempre presto per schierarci in piedi davanti allo schermo per l’inno. Poi tutti sul divano a tifare, con i figli che mi trattengono per impedire di svegliare tutti con i miei urli. E non è mai mancato il contatto continuo sui social con le famiglie degli altri ragazzi, con le quali abbiamo costruito un gran rapporto e al più presto cercheremo di incontrarci da qualche parte. E come se ognuno dei ragazzi fosse figlio di tutti questi genitori». Che notizie arrivavano da un Paese «anomalo» come l’Iran? «Nessuna. I ragazzi di tutte le squadre sono stati prelevati all’aeroporto, portati in albergo e ai campi di gioco con i pullman, nel rigoroso rispetto di una bolla anti Covid che impedisce anche la presenza di pubblico al palazzetto. Per il turismo o le escursioni non ci sarà tempo». Telefonate? «Assolutamente sì, quotidiana. E se la chiamata tarda di qualche minuto sull’orario previsto scatta l’ansia. Salutati velocemente fratelli e nonni poi il dialogo diventa solo mamma-figlio e le parole di Ale sono sempre rassicuranti. Dicono che non mangiano tanto bene, ma per gli italiani questo è un problema classico ogni volta che si va all’estero e i ragazzi sono stati tutti bravi ad adattarsi».
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