Volley, l'amarcord Mondiale di Andrea Gardini: "La bolgia, il tabù Cuba e la nostra fame: 30 anni fa siamo diventati un simbolo"

Romagna | 29 Ottobre 2020 Sport
volley-lamarcord-mondiale-di-andrea-gardini-quotla-bolgia-il-tab-cuba-e-la-nostra-fame-30-anni-fa-siamo-diventati-un-simboloquot
Luca Alberto Montanari
«Lucchetta, Paolo, Bernardiiiiiiii… Campioni del mondo, sul tetto del mondo, sul tetto del mondo, grande Italia». Questa frase, pronunciata a tutto volume da Jacopo Volpi nella bolgia del Maracanazinho di Rio de Janeiro, ha appena compiuto 30 anni. Mentre lo storico telecronista Rai raccontava l’ultimo punto dell’epica finale del Mondiale vinto dall’Italia contro l’invincibile Cuba, un ragazzo ravennate di 25 anni di nome Andrea Gardini saliva prepotentemente sul seggiolone dell’arbitro per festeggiare il primo di tre titoli iridati consecutivi.
Gardini, quello storico successo del 28 ottobre 1990 in Brasile ha compiuto 30 anni. Fu la partita più importante della sua carriera?
«Beh, di partite importanti ne ho giocate tantissime, però direi di sì. Di sicuro è stata la partita zero, l’inizio di una meravigliosa storia per me, per la Nazionale e per il nostro movimento. Dopo quella schiacciata di Bernardi la pallavolo è passata da sport provinciale a sport nazionale, da quel momento la Nazionale di volley è diventata un simbolo dello sport».
Non a caso venne coniato un termine piuttosto significativo: generazione di fenomeni.
«Per me è una definizione che si presta bene per un titolo di giornale o il titolo di un libro, ma noi non ci siamo mai sentiti fenomeni. Quella, semmai, è stata la prima vittoria di una generazione di lavoratori. Prima del talento, infatti, venivano la fame e la determinazione. Avevamo voglia di vincere e tutto il resto passava in secondo piano».
Com’era il suo rapporto con Julio Velasco?
«Un rapporto forte e conflittuale. A volte ci attaccava al muro e ci aggrediva verbalmente e quasi fisicamente, ma a me non interessava. Io volevo vincere e basta. Che lui fosse troppo arrogante, stronzo, cattivo, non mi importava e le sue epiche strigliate finivano lì, dopo qualche secondo».
E il rapporto con i compagni?
«Eravamo un gruppo meraviglioso. C’erano rispetto, determinazione, fame, ferocia, un legame fortissimo che andava al di là dell’amicizia. E poi il campo azzerava qualsiasi cosa, tipo la rivalità nei club. La Nazionale andava oltre a tutto e Julio era il catalizzatore del gruppo, l’uomo giusto nel momento giusto».
Eppure, a quel Mondiale, eravate arrivati dopo un’estate difficile.
«Già, arrivammo in Brasile dopo una serie di batoste contro Cuba. Nel girone battemmo Bulgaria e Camerun, ma proprio contro Cuba, nella terza partita, prendemmo un 3-0 pesantissimo, che ci costrinse a partire dagli ottavi di finale. Cuba ci batteva sempre, anche con le riserve».
Nella fase ad eliminazione diretta arrivarono due 3-0 contro Cecoslovacchia e Argentina, poi in semifinale il primo capolavoro.
«Contro l’Argentina abbiamo messo in moto, in semifinale contro il Brasile abbiamo compiuto la prima impresa. Il Maracanazinho del 1990 era un ovale con panche di cemento al posto dei seggiolini, quindi non so quanti fossero realmente i brasiliani là dentro. Penso 20-25 mila. Ho giocato migliaia di partite in tutti i posti del mondo nella mia carriera, ma una bolgia come quella non l’ho mai sentita. Se oggi chiudo gli occhi, sento ancora il rumore assordante. La voce di Julio durante i timeout non si sentiva e per questo ci parlava nell’orecchio. Io a fine gara non avevo voce, perché urlavamo tra di noi anche in campo. Dopo quel 3-2 abbiamo capito che eravamo forti e soprattutto pronti alla battaglia, perché qualsiasi altra squadra avrebbe perso 3-0 in 40 minuti».
Qualsiasi altra squadra tranne Cuba, che il 28 ottobre 1990 vi aspettava in finale.
«Ancora al Maracanazinho e ancora contro 20mila brasiliani, che naturalmente tifano Cuba dopo la nostra vittoria in semifinale. Non è stata la partita perfetta, ma è stata una delle più belle della mia vita e da quel giorno abbiamo cominciato a considerare le finali come una droga, a sentire il formicolio delle braccia, lo stomaco che si contorce, le emozioni. Ma in quel momento non ci siamo resi conto che sarebbe cominciato qualcosa di grande. Noi volevamo vincere quella partita e basta».
Cosa le ha lasciato quel Mondiale?
«Al di là della vittoria, tantissimo. Soprattutto per come è venuta, per come lo abbiamo preparato, per la resistenza a tutte le difficoltà, dagli infortuni agli hotel brutti, all’assenza totale di alibi. Non è stato un Mondiale perfetto, ma un Mondiale di fatica e di sacrifici. Nel 1994 e nel 1998 ho sollevato la Coppa del Mondo da capitano in Grecia e in Giappone, una sensazione meravigliosa e unica, un vero e proprio privilegio. Ma la prima vittoria in Brasile è stato il sogno che si avvera, la vittoria più importante della mia lunga carriera».
Compila questo modulo per scrivere un commento
Nome:
Commento:
Settesere Community
Abbonati on-line
al settimanale Setteserequi!

SCOPRI COME
Scarica la nostra App!
Scarica la nostra APP
Follow Us
Facebook
Instagram
Youtube
Appuntamenti
Buon Appetito
Progetto intimo
FuoriClasse
Centenari
Mappamondo
Lab 25
Fata Storia
Blog Settesere
Logo Settesere
Facebook  Twitter   Youtube
Redazione di Faenza

Via Severoli, 16 A
Tel. +39 0546/20535
E-mail: direttore@settesere.it
Privacy & Cookie Policy - Preferenze Cookie
Redazione di Ravenna

via Arcivescovo Gerberto 17
Tel 0544/1880790
E-mail direttore@settesere.it

Pubblicità

Per la pubblicità su SettesereQui e Settesere.it potete rivolgervi a: Media Romagna
Ravenna - tel. 0544/1880790
Faenza - tel. 0546/20535
E-mail: pubblicita@settesere.it

Credits TITANKA! Spa
Setteserequi è una testata registrata presso il Tribunale di Ravenna al n.457 del 03/10/1964 - Numero iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione:
23201- Direttore responsabile Manuel Poletti - Editore “Media Romagna” cooperativa di giornalisti con sede a Ravenna, Arcivescovo Gerberto 17.
La testata fruisce dei contributi diretti editoria L. 198/2016 e d.lgs. 70/2017 (ex L. 250/90).
Contributi incassati

settesere it notizie-romagna-volley-l-amarcord-mondiale-di-andrea-gardini-la-bolgia-il-tabu-cuba-e-la-nostra-fame-30-anni-fa-siamo-diventati-un-simbolo-n26323 005
Licenza contenuti Tutti i contenuti del sito sono disponibili in licenza Creative Commons Attribuzione