Volley, Bonitta saluta Ravenna dopo 5 anni: "Il capolavoro di Atene e i tre ruoli diversi: alla Consar ho dato anima, cuore e corpo"

Romagna | 06 Giugno 2021 Sport
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Marco Ortolani
Anche Marco Bonitta (dopo quasi tutti i giocatori della squadra) lascia Ravenna diretto a Olsztyn, una città polacca assimilabile per numero di abitanti (170mila) e per gloria pallavolistica (5 scudetti). Per Bonitta è la seconda avventura polacca (in passato grandi risultati alla guida della Nazionale femminile di quel Paese). Negli ultimi cinque anni è stato il riferimento del progetto sportivo ravennate, rivestendo ruoli da direttore generale, direttore sportivo, fino al ritorno in panchina come coach. In questa intervista di un lustro partiamo proprio da qui. 
Bonitta, in quali «panni» si è sentito più a suo agio?
«Ho affrontato per la prima volta i ruoli di direttore generale e direttore sportivo. Mi è piaciuto ricoprirli, specialmente per scegliere i giocatori o trattare con loro per farli rimanere, anche se ho capito di aver ancora molto da imparare. Ma io mi sento ancora allenatore: guardare i giocatori negli occhi, provare a scrutare i loro sentimenti, creare empatia… sono cose entusiasmanti». 
Il giorno più bello di questi cinque anni?
«La Challenge del 2018: la semifinale vinta in Turchia al golden set, la finale ad Atene e la festa successiva al Pireo rimarranno nel cuore di tutti». 
Il giorno più brutto?
«Le due partite con Modena di quest’anno (andata e ritorno in campionato, ndr) il nostro livello più basso. Ma per fortuna i momenti brutti li dimentico in fretta». 
Il giocatore più cresciuto sotto la sua gestione?
«Kamil Rychlicki, a cui sono stato vicino con l’allenatore Graziosi nel momento delle scelte tecniche più importanti per lui che, evidentemente, sono state quelle giuste, visto che oggi è uno dei primi 5 o 6 opposti del mondo. Poi cito Davide Saitta e Francesco Recine, che hanno approcciato la Superlega fra i dubbi di molti di poterne non essere all’altezza e che ora sono in Nazionale».
Giocatore a cui rimane più legato dal punto di vista umano?
«Qualche empatia speciale c’è stata, ma non me la sentirei di fare nomi. Non sono diventato amico in senso stretto dei miei atleti». 
Il dirigente o collaboratore a cui è stato più legato?
«Penso prima al gruppo di volontari che ho contribuito a ricostruire, quelli che montano il campo e vivono la nostra quotidianità. Fra i dirigenti ho una trentennale consuetudine con Piero Roncuzzi, sempre equilibrato e vicino alla squadra. Con Luca Casadio e Damiano Donati nacquero intese che non esito a definire magiche. Provo grande rispetto per Veniero Rosetti e ringrazio Daniela Giovanetti, con la quale c’è stato meno tempo per consolidare l’intesa».
La cosa di cui è più orgoglioso?
«Aver dato tutto in questi cinque anni: anima, cuore, corpo, ogni stilla di energia… tutto! Lo sento profondamente».
L’obiettivo che non è riuscito a centrare?
«Mi viene in mente Andrea Argenta. Dovevo fare di più con lui. Non sono riuscito a farlo esprimere. Ha avuto anche tanta sfortuna». 
Che consiglio si sente di dare a chi prenderà il suo posto?
«Di considerare il fatto che i ravennati conoscono e amano questo sport. Brontolano un po’ ma è un fattore che aiuta». 
Il sestetto del quinquennio?
«Toniutti in regia, Kamil opposto, Ricci e Russo al centro con Mengo primo cambio, Lavia e Lyneel bande e Kovacic libero. Quanto mi divertirei con questi!».
Come vede l’Italia alle Olimpiadi? 
«La femminile è obbligata a entrare nelle prime quattro, mentre la maschile è nel foltissimo gruppo di nazionali che possono vincere. Per entrambe la partita della verità sarà il quarto di finale». 
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