Volley, 10 anni senza Bovolenta: «Come se mi parlasse ancora»

Romagna | 25 Marzo 2022 Sport
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Marco Ortolani
Dieci anni fa. Una palestra periferica rispetto a quelle illuminate dai fari del più bel volley del mondo, frequentate per molto tempo. Un campione che si diverte ancora a spendere gli ultimi spiccioli di una carriera folgorante e lunghissima. Un cuore che tradisce e il pallone, fraterno amico di una vita, che scivola dalle mani e saltella vicino a lui, per salutarlo un’ultima volta, per sempre. 
Vigor Bovolenta se ne andò così, dieci anni fa. Padre di quattro figli e di un quinto che arriverà poco dopo. Una storia, un dramma, una perdita che commossero il Paese. «Un distacco fisico - ricorda Federica Lisi, la moglie romana di Vigor stabilitasi a Ravenna, anch’essa pallavolista in Serie A prima di diventare mamma - ma anche l’inizio di un percorso fatto di energia, di incontri, di avvenimenti che mi fa dire che Bovo è ancora vivissimo in chi lo ha conosciuto». 
Federica, da 10 anni, è l’inesausta locomotiva di una serie di iniziative che hanno portato questa incredibile storia d’amore e di vita in tv (ospite di varie trasmissioni), in libreria (il suo «Noi Non Ci Lasceremo Mai», pubblicato un anno dopo la scomparsa di Vigor, avvolge ogni lettore di irresistibile struggimento), a teatro (i racconti di quell’amore infinito si sono sposati con la musica di Pia Tuccitto), in palestre e spiagge (dove si sono tenuti i vari «BovoDay», imperdibili per i tanti amici di Vigor e per tutto il mondo del volley). 
Cosa rappresenta maggiormente il ricordo di Vigor? «Il libro - argomenta Federica - è stata per me pura autoanalisi. Un’esperienza che non è servita solo a me, ma a tante altre persone che avevano vissuto un dramma simile e che, quando le avvicinavo alle presentazioni, mi dicevano: “Federica, mi hai aiutato tanto, se ce l’hai fatta tu a superare un momento come questo, allora forse posso farcela anch’io”. Poi il mio racconto ha incontrato la grande musica di Pia Tuccitto. E allora ho avuto l’onore di vedere vicini lo sport e la musica, i due linguaggi che salvano il mondo, che uniscono le persone».
Ma il «dopo-Vigor» non è stato solo di struggimenti e di ricordi. «Non sono la vedova che va in giro con il velo. Ho cercato di interpretare il mio dolore pensando a come Bovo lo avrebbe desiderato. E’ come se mi parlasse ancora e così abbiamo messo la nostra attività al servizio della cultura della prevenzione, finanziando l’acquisto di oltre 60 defibrillatori. Dopo le tragedie di Bovolenta e del calciatore Morosini questi strumenti e le relative conoscenze per poterli usare si sono diffusi enormemente. Anche questa è un’eredità che Vigor ci ha lasciato. L’estate scorsa ho visto con emozione il dramma di Christian Eriksen (l’ex calciatore dell’Inter crollato a terra durante una partita dell’ultimo Europeo con la maglia della sua Danimarca, ndr). Evidentemente non era il suo momento, per fortuna. Il suo cuore ha ceduto nel luogo migliore, con medici e attrezzature pronti ad intervenire. Sento il dovere di combattere perché queste condizioni ci siano in più luoghi di sport possibili». 
Due parole su Alessandro, il figlio primogenito che straziò un Pala De Andrè strapieno entrando in campo a sette anni, con la maglia del padre, nella Nazionale di Berruto ospite del primo «BovoDay». Oggi Ale è il ragazzone dalla imbarazzante somiglianza con il padre, che ha giocato i Mondiali con la Nazionale giovanile ed ha esordito in Superlega in questa stagione appena conclusa, firmando anche i primi punti da grande e conquistando l’occhio di tantissimi addetti ai lavori, anche per l’evidente somiglianza con il papà. 
«Sono orgogliosa della crescita serena dei miei figli - ricomincia Federica - anche in rapporto al ricordo del padre. Ale, come gli altri miei figli, ascolta con attenzione le testimonianze degli ex giocatori e delle tante persone che hanno incontrato Bovo. E così, un po’ alla volta, ciascuno di loro ricostruisce il suo “papà”».     
Chi vi scrive, un giorno, lo definì «l’Airone del Polesine» per quel collo lungo e quelle braccia forti come ali che sembravano comprendere, oltre che tanti amici, anche tanto volley: quello congedante che aveva avvicinato 17enne, come «portatore di Gatorade» nel grande Messaggero e quello moderno, che vide nascere e di cui fu protagonista.
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