Violenza domestica e lockdown, nel ravennate l'autonomia delle donne si fa più difficile

Romagna | 24 Maggio 2020 Cronaca
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Silvia Manzani
Colloqui in videochiamata, accoglienze più lunghe in casa rifugio, numeri delle richieste d’aiuto che cambiano a seconda dei territori, percorsi lavorativi interrotti. Sono alcune delle dinamiche che hanno riguardato, negli ultimi due mesi e mezzo, i Centri antiviolenza della provincia. A partire dall’associazione Linea Rosa, che al pari delle sue omologhe presenti sul territorio, ha adeguato immediatamente l’attività alle misure di sicurezza legate all’emergenza Covid-19: «Abbiamo continuato con il sostegno alle donne che già seguivamo - spiega la presidente Alessandra Bagnara - attraverso colloqui personali, per chi poteva muoversi e raggiungere il Centro, o telefonici e via Skype per le altre. Abbiamo anche proseguito l’attività con le donne nuove che si sono rivolte per la prima volta ad un Centro antiviolenza in questo periodo così difficile e duro per tutte e tutti ma, in particolare, per chi si è trovata a convivere 24 ore al giorno con un uomo maltrattante. Confrontando i dati di marzo e aprile con quelli degli stessi mesi del 2019, si è registrato un calo di richieste di aiuto di circa il 50%». Le limitazioni, secondo Bagnara, hanno influito soprattutto sulle donne che si sono trovate a non avere tempo e spazio per potersi rivolgere al Centro: «La presenza in casa del maltrattante, ma anche dei figli, la paura del contagio, l’inquietudine di un futuro incerto e a volte anche la paura di non poter ricevere aiuto hanno spinto le donne a rimandare la propria richiesta di aiuto». Un plauso, per la presidente, va alla rete territoriale di supporto e alle istituzioni: «Tutti hanno in ogni modo facilitato gli spostamenti delle operatrici che si dovevano occupare delle emergenze e della gestione delle case rifugio, dall’acquisto dei beni di prima necessità alle indispensabili manutenzioni, agli adeguamenti e alle sanificazioni.». Quanto all’accoglienza, i cambiamenti non sono imputabili direttamente al Covid ma alla crisi economica degli ultimi anni: «Una crisi che ha pesantemente segnato le progettualità delle donne vittime di violenza allungando i tempi di ospitalità nelle case rifugio a causa delle difficoltà legate al reperimento di un lavoro e di una casa. Per sostenere i progetti di autonomia, abbiamo presentato progetti in ambito locale e regionale finalizzati a reperire risorse nel campo della formazione e ricerca del lavoro e dell’autonomia abitativa, che ci hanno permesso di continuare nel nostro lavoro al fianco delle donne». Allo stesso tempo, i progetti delle donne in ospitalità e in accoglienza hanno evidentemente subito una battuta d’arresto: «Temiamo che gli strascichi si vedano anche nel lungo periodo per i danni evidenti che ha subito la nostra economia a causa dell’emergenza sanitaria. In un contesto già fortemente critico come quello della violenza domestica è importante che la società tutta si stringa al fianco delle vittime per sostenerle nelle difficoltà». Linea Rosa ha anche promosso campagne di sensibilizzazione e informazione, sui social, per raggiungere il maggior numero possibile di donne: «Una delle più recenti è la campagna #ioposso#tupuoi non sei sola, per la quale i cittadini e le cittadine ravennati si sono mobilitati inviando filmati e disegni».

«EMPATIA VIA SKYPE»
A Faenza, diversamente da Ravenna, Sos Donna ha registrato, in marzo e aprile, un numero di richieste in leggero aumento rispetto allo stesso periodo del 2019: «Non siamo in grado - spiega Antonella Oriani, presidente - di valutare il motivo. La maggior parte degli altri centri in Emilia-Romagna ha notato un calo, dunque potrebbe trattarsi di una casualità. Fatto sta che alle richieste di aiuto abbiamo sempre risposto, sia tenendo aperto il Centro che utilizzando i colloqui telefonici e video, che devo dire sono stati i più utilizzati, forse per la paura delle donne di spostarsi, mettendo a rischio se stesse e i figli rispetto al contagio». Un modo di lavorare nuovo ma che, secondo la presidente, non ha tolto professionalità: «Siamo formate sul primo colloquio telefonico, che spesso è il più difficile. In questo senso posso dire che l’empatia che sappiamo utilizzare passa anche telefonicamente, che la relazione si stabilisce comunque con le capacità che abbiamo sviluppato. Non a caso, i primi contatti che abbiamo avuto con le nuove donne sono tutti sfociati nei percorsi». E mentre per alcune donne si sono dilatati i tempi dell’accoglienza nelle case rifugio, si sono bloccati i tre tirocini attivi prima dell’emergenza: «In generale, anche per via delle scuole chiuse, la strada per avere una autonomia finanziaria, per le nostre donne, ora è più lunga».
 
«EMERGENZA DIFFICILE»
A Lugo, invece, la situazione è stata in linea con quella regionale: l’associazione «Demetra - Donne in aiuto» ha visto scendere la richiesta del 50% a marzo e del 10% in aprile: «Sono però aumentate - spiega la presidente Giusi Dessy - le richieste di intervento in emergenza rispetto allo scorso anno: è evidente che le donne costrette a casa hanno avuto maggiori difficoltà a telefonare al Centro antiviolenza perché esposte al continuo controllo dell’autore delle violenze. Per esperienza sappiamo che la violenza in famiglia ha dei picchi soprattutto durante i week end, le festività e le vacanze estive: ci aspettavamo, dunque, un aumento delle violenze durante il lockdown. Negli spot diffusi da Di.R.e. abbiamo suggerito alle donne di contattarci mentre andavano a fare la spesa o in farmacia o a buttare l’immondizia. A nostro parere, comunque, il silenzio delle donne è da attribuirsi anche al timore di esporre al contagio i figli andando via di casa. Infatti, con la fase 2 il nostro telefono ha ricominciato a squillare». Le difficoltà maggiori, Demetra, le ha avute sul fronte delle case rifugio: «Ne abbiamo una che ospita le donne per lunghi periodi e una per le emergenze. Di solito le donne che sono messe in protezione perché scappano di casa quando la violenza è diventata intollerabile o avvertono che cominciano ad essere in pericolo di vita, sono accompagnate nella Casa per l’emergenza, dove restano fino a 10 o 15 giorni. Se decidono di lasciare il partner, vengono trasferite nella casa rifugio per l’ospitalità a lungo termine. Con il Covid-19 abbiamo dovuto individuare strutture o bed and breakfast disponibili ad ospitare le donne per almeno 15 giorni per rispettare il periodo della quarantena e verificare non avessero contratto il virus. Ci siamo dotate di mascherine, guanti, gel, abbiamo fatto turnare le operatrici per evitare la compresenza e adottato lo smart working». E mentre si è attrezzata con materiali e messaggi WhatsApp, anche in altre lingue, per diffondere il più possibile le misure di prevenzione del virus, in vista dell’autunno Demetra sta acquistando Pc e tablet per i bambini e i ragazzi ospitati con le madri nelle strutture, in modo da consentire loro, se la scuola non riaprirà a pieno regime, di seguire le lezioni scolastiche da casa: «La pandemia ha complicato molto il nostro lavoro ma siamo riuscite a mantenere tutti i servizi essenziali. Purtroppo i progetti che offrono alle donne supporto per la ricerca del lavoro, i gruppi di empowerment e le iniziative di sensibilizzazione nelle scuole sono stati tutti sospesi. L’emergenza Covid ha causato una forte crisi soprattutto nei settori dove sono impiegate le donne, inoltre in autunno pare che le scuole non saranno aperte tutti i giorni e saranno ancora le donne a restare a casa con i figli: chi non avrà un contratto a tempo indeterminato o non avrà l’opportunità dello smart working, rischia il licenziamento».
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