Violenza, dal ravennate la storia di Lidia: "Durante l'emergenza Covid in casa rifugio con i miei figli"
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«Per anni ho rimosso, ho dimenticato. L’ho fatto per sopravvivere, per superare la paura che mi togliessero i figli. Oggi le amiche mi ricordano le vessazioni, i dettagli delle violenze. Anche io certe cose le ricordo bene, anche se per restare a galla ho archiviato, ho messo da parte. Oggi mi rendo conto che è una vita che subisco, che ne ho passate di tutti i colori. E che era davvero arrivato il momento di fare basta». Lidia (nome di fantasia), 40 anni, mamma di tre bambini, è da poco uscita dalla casa rifugio di una delle associazioni che, in provincia, si occupano di violenza contro le donne: «In realtà, alle restrizioni sul Coronavirus, devo dire grazie. Il giorno che dovevo rientrare a casa con i miei figli, sono iniziate le limitazioni. E così si è deciso di farci rimanere in casa rifugio ancora un po’. Meglio per tutti, in ogni caso sarebbe stato difficile trovare lavoro, cosa di cui oggi ho enorme bisogno. E nel caso ci fosse successo qualcosa, in termini di salute, non avrei ben saputo come organizzarmi, visto che sono sola ad occuparmi dei bambini». Di origine straniera ma in Italia da moltissimi anni, Lidia da quando all’ex marito è stata sospesa la responsabilità genitoriale, con il divieto di avvicinarsi a lei e ai figli, deve campare come può: «Ricevo da lui poco più di 500 al mese, che devono servire per le bollette, la spesa, la benzina e tutto ciò che serve ai bambini. Mia madre è costretta a mandarmi un po’ di soldi dal mio Paese, difficilmente riuscirei a campare diversamente. Avevo appena trovato un piccolo impiego, prima dell’emergenza Covid. Oggi sono alla disperata ricerca di un lavoro, anche part-time, che mi assicuri un’entrata fissa mensile». Nel frattempo Lidia sta cercando un po’ di normalità: «Da un lato ho tirato un sospiro di sollievo, dall’altro non riesco a godermi il presente, sono sempre proiettata su un futuro che non so come andrà. Sarò in grado di avere, finalmente, un’autonomia? Di vivere senza un sostegno, senza una spalla? Per anni ho subito violenza psicologica, economica, fisica. Sono stata offesa, denigrata, considerata una nullità, definita una pazza, messa in discussione come mamma. Mi sono stati tolti tutti i mezzi per fare la spesa per la mia famiglia, sono arrivata a chiudermi in camera con i miei figli mettendo il comodino contro la porta per paura. Sono stata registrata: ogni cosa facessi e dicessi veniva ripresa dal cellulare. Ho preso medicinali per l’ansia, per dormire, per non sentire la sofferenza, per evitare gli incubi. E sono finita all’ospedale in diverse occasioni per le percosse subite».
L’ultima volta che l’ex marito le ha messo le mani al collo, Lidia ha chiamato il 112 e poi è andata in pronto soccorso: «Ero scioccata, i bambini avevano visto tutto. Credo davvero che in tutti questi anni di matrimonio il mio ex marito abbia tentato di tutto per farmi diventare matta, così da giustificare le sue angherie». Nella sfortuna, Lidia si ritiene comunque fortunata per avere trovato persone disposte ad aiutarla: «L’associazione mi sta seguendo ancora da vicino, la casa in cui io e i bambini siamo stati portati è accogliente. Era novembre, quando siamo arrivati. Per rassicurare i miei figli, ho raccontato loro che quello che avremmo vissuto da lì a poco sarebbe stato un Natale speciale, che avremmo giocato a nasconderci. Poi, quando si addormentavano, piangevo fino a non avere più lacrime. E il più grande, di giorno, consolava me, dicendo che sarebbe andato tutto bene, che ne saremmo usciti». Oggi, a guardarsi indietro, Lidia prova rabbia, molta rabbia: «Mi colpevolizzo per avere dedicato una lunga parte della mia vita alla persona sbagliata, per aver preteso di ricevere, se non amore, almeno apprezzamento. Soffro anche nel vedere come i bambini si aspettino dal padre le scuse che non arriveranno mai. Le scuse di un uomo considerato ancora, dalla sua famiglia, una brava persona». (s.manz.)