Vela, la nuova avventura del ravennate Rosetti: «Dal canottaggio all’America’s Cup con Luna Rossa: ho cambiato vita, l’unico problema è il mal di mare...»

Romagna | 17 Febbraio 2023 Sport
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Tomaso Palli
Il passaggio canottaggio-vela, nonostante alcuni esempi ci siano, non è poi così frequente. Ma è quello che ha fatto, da oramai un anno, il ravennate Bruno Rosetti. Lui che con la nazionale del quattro senza era arrivato all’Olimpiade di Tokyo 2020 raggiungendo quella maledetta finale. Poi il tampone positivo a poche ore dalla gara per la medaglia e il sogno di una vita in frantumi. I compagni portarono a casa il bronzo e la medaglia arrivò poi anche a Rosetti, su gentile concessione del Cio, in un unicum per la storia olimpica. Oggi, però, il suo mondo è la vela, Luna Rossa Prada Pirelli e quel ruolo da cyclor nell’equipaggio italiano con un obiettivo chiaro: la 37a edizione dell’America’s Cup che si terrà a Barcellona nel 2024.
Rosetti, per Wikipedia lei è ancora «canottiere italiano». Non è più così?
«Decisamente no (sorride, ndr)! Sono contento di aver cambiato vita e non ho rimpianti. Credo di aver dato quello che potevo sia al mondo del canottaggio che a me stesso, sotto quel punto di vista. Era giunto il momento di voltare pagina e l’avrei fatto a prescindere dal risultato dell’ultima gara». 
Ora fa parte di Luna Rossa Prada Pirelli. Che legame ha?
«Ne ho sempre sentito parlare, credo come la maggior parte della gente, quando ogni tre o quattro anni c’è la Coppa America. Poi, da ragazzino, guardavo le regate insieme a mio padre che è sempre stato grande appassionato. Tutto qua, non vengo da una famiglia di velisti e non lo sono mai stato».  
Com’è nata la possibilità?
«Grazie a due miei ex compagni nel canottaggio: Romano Battisti ed Emanuele Liuzzi. Hanno partecipato all’ultima Coppa America, mi hanno spinto a provare. Così sono entrato in contatto con Max Sirena (skipper e team director, ndr) e ho provato: una settimana di test in bici». 
Quando il primo approccio alla vela?
«Nella scorsa primavera. Ho iniziato con Enrico Voltolini, anche lui cyclor. Dovevo imparare qualcosa altrimenti non avrei capito nulla: tranne randa e fiocco, per me era tutto nuovo. Ho iniziato a fare uscite con equipaggi spaziali: accanto a lui anche Francesco Bruni, Jacopo Plazzi, Umberto Molineris… gente che si è giocata la qualifica olimpica. Non mi definisco un velista ma ho dei grandi maestri. Con Umberto e Shannon Falcone, che di Coppe America ne ha vinte due, abbiamo fatto una divertentissima traversata in catamarano Cagliari-Tunisia e ritorno. Sono tutte esperienze che adoro anche se all’andata non sono stato benissimo». 
Scherza?
«Soffro tremendamente di mal di mare (ride, ndr). E mi prendono tutti in giro. All’inizio sono stato molto male ma, lentamente, mi sto abituando. Ancora oggi, quando c’è il mare… che non ci deve essere, me ne accorgo subito». 
Soluzioni?
«Me ne hanno raccontate tante ma, secondo me, sono tutte bugie. Se hai fortuna di abituarti, bene. Altrimenti sei spacciato». 
Qual è il suo ruolo?
«Sono un grinder. Ma oggi si chiamano anche cyclor. Quasi tutto si muove grazie ad un sistema idraulico: noi, pedalando, mandiamo l’olio in pressione nei tubi permettendo il movimento delle varie cose».
Ci sono differenze nell’allenamento tra canottaggio e vela?
«Il canottaggio è più impegnativo perché l’intera giornata è dedicata a quello. Qui, ci alleniamo al mattino per un paio d’ore, facciamo colazione e poi inizia la giornata lavorativa dove ognuno di noi è assegnato a un dipartimento. Terminato il lavoro, nel tardo pomeriggio, andiamo in palestra per un secondo allenamento. Come volume è più facile del canottaggio ma, in realtà, qui non ti riposi mai. E io sono contentissimo perché, accanto all’allenamento, ho l’occasione di imparare qualcosa». 
Dopo un anno, il bilancio è positivo?
«Estremamente! È un’esperienza fantastica e, fosse per me, non me ne andrei mai più. Sono un mondo e una vita che mi piacciono, totalizzanti: iniziamo la mattina presto e finiamo il pomeriggio, senza mai sapere quando. Per la felicità delle nostre fidanzate che ci aspettano a casa».
Torniamo a quella finale non disputata all’Olimpiade. Ci pensa ancora?
«L’ho metabolizzata quasi subito, non potevo davvero farci nulla. C’è chi, al posto mio, avrebbe spaccato la stanza. E poi? Durante il tempo trascorso lì, ho ricevuto messaggi e chiamate costanti, mi sono stati vicino davvero tutti: famiglia, amici, lo stesso Malagò. Ma se ci ripenso ora: cosa sarebbe successo se…? Non lo sapremo mai».  
La medaglia è arrivata?
«Sì! E sono grato a tutti. Inizialmente non la volevo ma poi è stato un piacere enorme». 
Ma è nella storia!
«Come più sfigato? Sì, è stata la prima volta che un atleta ha ottenuto la medaglia così».
Torniamo alla vela, verso l’America’s Cup: cosa pensa?
«Risulterò sbruffone, ma lo definirei più… confident. Credo molto nei miei mezzi e penso che volere sia potere. La sensazione è positiva e la paragono a quella avuta quando decisi di riprendere a remare con l’obiettivo di fare l’Olimpiade e raggiungere la medaglia. In qualche modo, ci sono riuscito. Ma c’è altro». 
Prego. 
«Viviamo tutti i giorni alla base, con gente che dà l’anima al progetto. E non mesi prima della competizione, ma anni. Si sente l’appartenenza. Non dico che non ci fosse nel canottaggio ma qui è davvero una cosa molto grande. Senti l’appartenenza per raggiungere una coppa: è bellissimo. Bisogna viverlo per capirlo davvero, lo vedi dalle persone ed è una sensazione fortissima».
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