Vela, il ravennate Rosetti prepara il debutto in America's Cup: «La fatica del canottaggio non mi manca: adesso pedalo e sogno con Luna Rossa»
Tomaso Palli
Poteva essere a Parigi, di questi tempi, il ravennate Bruno Rosetti. Lì, insieme ai compagni del quattro senza di canottaggio, impegnato nella sua personale seconda Olimpiade dopo quelle di Tokyo chiusa con il bronzo ricevuto nonostante il forfait in finale causa Covid. Ma oggi è a Barcellona e segue i colleghi olimpionici dalla tv, dal quartier generale di Luna Rossa Prada Pirelli a meno di un mese dalla 37a edizione di America’s Cup, l’evento velistico più importante che questa volta vedrà protagonista anche lui.
Rosetti, l’ultima volta era da poco entrato in Luna Rossa. Come procede questa… avventura?
«Dato che manca solo un mese, possiamo dire che oramai è fatta. L’ultimo anno è stato un crescendo di esperienza e motivazione dove cominci a sentire sempre di più l’evento, in particolar modo dalle prime uscite dopo l’arrivo della barca grande, l’Ac75. È stato molto utile per imparare qualcosa in più e perché stiamo diventando
non voglio dire velisti, un parolone, ma iniziamo ad essere sempre più parte dell’ambiente e del gioco. Soprattutto per uno come me che di vela non sapeva assolutamente niente».
Tra racconti e sue aspettative: è curioso di questa sua prima America’s Cup?
«Sono molto curioso di vedere tutte le barche presenti al bordo del campo di regata con le persone pronte a fare il tifo, anche tanti italiani. Già adesso ce ne sono tantissime, a vela e a motore, che seguono gli allenamenti: c’è un gran traffico e sono curioso di vedere come sarà quando iniziano le regate. Diciamo che sarà diverso dal canottaggio: a un Mondiale o alle Olimpiadi, anche se a Tokyo non c’era il pubblico causa Covid, sei solo fino agli ultimi 200/300 metri quando incontri un po’ di tribune con il tifo. Ma sei talmente preso dal rush finale che non ti accorgi di nulla. Qui, invece, mi aspetto quasi un tifo da stadio. Anche se, ad essere sincero, devo ancora capire cosa riusciremo a vedere noi dal nostro buco dove pedaliamo».
Le manca qualcosa del canottaggio?
«Nulla. Mi è piaciuto farlo, ma ora non mi manca nulla. La cosa più bella della Nazionale di canottaggio è sempre stata, per me, il gruppo: 30 ragazzi e 30 amici, una cosa bellissima. Qui, si è creata quella stessa identica cosa. Però sto guardando le gare delle Olimpiadi e mi ha emozionato molto vedere quella che facevo io, il quattro senza».
Nostalgia o emozioni particolari nel seguire i Giochi?
«Mi piacerebbe essere lì e fare una gara. Ma per il contesto. Sapendo tutto il lavoro fatto per quei cinque minuti e quaranta, non lo rifarei più (sorride, ndr). Il gioco non vale la candela».
Torniamo a Luna Rossa. Continuerà a fare fatica, ma quale sarà il suo ruolo?
«La fatica mi accompagna sempre. Noi ciclisti pedaliamo su una sorta di bicicletta e mettiamo in pressione un sistema idraulico che permette di movimentare e controllare la parte aero della barca (vele e albero). Possiamo poi aiutare a fare qualche altra piccola funzione, ma dopo entriamo troppo nel dettaglio».
A Cagliari i ritmi erano molto serrati. Qual è la giornata tipo, oggi, a Barcellona?
«Siamo un po’ più liberi e possiamo autogestirci maggiormente. Quando si naviga, in base all’orario di uscita, possiamo programmare un allenamento al mattino ma, fortunatamente, non più alle 7. Restiamo poi fuori una media di almeno quattro ore e, al rientro, possono esserci dei mini-briefing, asciughiamo la barca e la giornata si conclude. Quando invece non usciamo, ci alleniamo presto al mattino per poi aiutare nei vari dipartimenti in base a ciò che c’è da fare».
A proposito di navigazione: è riuscito a risolvere quel problema di
mal di mare?
«Mi sto abituando. Anche perché qui è capitato di trovare giornate di onda molto formata. Sembra bene ma non aggiungo altro per scaramanzia...».