Vela, il ravennate Ivaldi e il ricordo di 21 anni fa: "Luna Rossa e il sogno Coppa America: io l’ho sfiorata, loro possono vincerla"

Romagna | 06 Marzo 2021 Sport
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Tomaso Palli
Sono trascorsi 21 anni da quella volta che l’Italia, marinara e non solo, puntava la sveglia per seguire le regate di America’s Cup. Assonnati, con un occhio ancora chiuso e magari indosso il solo pigiama, perché il richiamo di Luna Rossa era troppo forte per non rispondere. Di quell’equipaggio, alla prima spedizione del consorzio italiano, ha fatto parte lo stratega Michele Ivaldi, «l’uomo ragno», come veniva chiamato. Ligure di nascita ma ravennate d’adozione, Ivaldi è campione italiano in carica di match race ma non dimentica quello che lui stesso definisce essere stato il periodo più bello della sua vita.
Cosa fa oggi Michele Ivaldi?
«Sono uscito dal mondo della Coppa America nel 2011 e da quel momento ho sempre fatto regate su barche grandi dove mi occupo di tattica, navigazione o strategia. Per alcuni programmi seguo la gestione dell’equipaggio mentre per altri l’ottimizzazione delle performance della barca. In queste settimane sono alle prese con la programmazione della nuova stagione che speriamo riprenda presto e dove spero di inserire anche la difesa del titolo di campione italiano di match race».
Ventuno anni fa vinse la Louis Vuitton Cup. Oggi, Luna Rossa si è ripetuta conquistando la Prada Cup. Che emozioni ha provato?
«Luna Rossa è stata un grandissimo pezzo della mia vita a cui ho dedicato dieci anni con sacrifici ed enormi soddisfazioni. Vederla di nuovo vincere con la possibilità di combattere per la Coppa America è una gioia enorme. Ho rivissuto l’emozione di 21 anni fa e mi ha dato molta soddisfazione, riesco a capire i momenti appassionanti che stanno vivendo ora i ragazzi ad Auckland. In particolare, il mio pensiero va ai ragazzi ravennati e in primis a Umberto Molineris».
Siete molto legati? 
«È giovane ed è in barca: mi rivedo in lui. Quando sono state distribuite le divise, ognuno di loro ha ricevuto un numero e lui, per puro caso, ha quello che avevo anche io: il 23 di Michael Jordan. Quel numero ha portato fortuna a me e a lui che, potenzialmente, può anche fare di più».
Quale fu la forza del vostro gruppo? La rivede in questa spedizione?
«Per noi è stata l’identità nazionale. La maggioranza del gruppo era italiana così come l’equipaggio tranne Torben Grael (brasiliano, ndr) che però conosceva la lingua. A bordo si parlava perciò italiano. Rivedo questa forza anche oggi: in barca c’è il solo James Spithill straniero (australiano, ndr) che però ama l’Italia ed è abituato al nostro modo di fare». 
Dalle regate di Natale fino alla finale di Prada Cup, passando per i robin round. Le forze in gioco sono molto cambiate. Come ha visto il percorso di Luna Rossa?
«Non bisognava guardare il risultato, bensì aver visto le gare e letto la regata. Prima di Natale, Ineos era meno competitiva ma nell’interruzione ha ottenuto grossi miglioramenti facendo molto bene nei robin round ma, secondo me, rimanendo la terza forza dietro Luna Rossa e American Magic. Gli americani si sono poi “suicidati” con la scuffia e in semifinale non erano pronti ma resto dell’idea che, se avessero incontrato Team Uk, le regate sarebbero state più combattute rispetto a quelle viste. A posteriori, il risultato dei robin round è stato ottimo per Luna Rossa: non vincere e non andare direttamente in finale ha spinto a migliorare e farlo velocemente, sia col mezzo sia a livello di comunicazione a bordo».
E ora?
«Vedo molto bene Luna Rossa e secondo me questa, tra le occasioni avute dall’Italia di vincere la Coppa America (sarà la terza dopo il Moro di Venezia nel 1992 e Luna Rossa nel 2000, ndr), è la migliore. I due team hanno scelto strade diverse per i foil e potrebbero esserci delle grosse differenze di prestazione. Se la scelta di New Zealand fosse quella giusta, l’unica arma per Luna Rossa è l’aver regatato di più. Ma se le barche dovessero essere vicine di prestazioni, Luna Rossa è molto forte. Hanno fatto un ottimo lavoro nella preparazione e ottimizzazione del mezzo anche se con due avversari inferiore. Non dico sia stato semplice ma forse più facile rispetto alla nostra epica battaglia durata un mese. Il merito è però tutto loro grazie al grande lavoro fatto, magari più a terra che in mare».
Conosce bene il golfo di Hauraki. Quali sono le insidie?
«Una delle particolarità è che il tempo cambia velocemente e il detto “se hai caldo, aspetta dieci minuti perché avrai freddo” è vero: ad Auckland, ogni giorno ha le quattro le stagioni. La grande differenza è che noi regatavamo sempre nell’Hauraki Gulf mentre loro hanno diversi campi di regata e, a seconda delle condizioni, scelgono quello più adatto. Se viene brutto tempo sono in grado di evitare l’onda che queste barche non sopportano».
Cosa significherebbe per l’Italia vincere la Coppa America?
«Sarebbe una cosa grandissima soprattutto per il mondo della vela italiano, la vittoria sarebbe capace di mettere il nostro paese al centro del panorama internazionale della vela con un sigillo importante alla tradizione marinara italiana. Un ritorno in Italia trionfale, non come quello di Bearzot con la Coppa del Mondo al centro ma quasi (sorride, ndr)».
Chi vede favorito?
«Team New Zealand pare avere qualcosina in più e lo metto al 55% ma da tifoso dico e spero Luna Rossa al 100%».
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