Valle Senio, piano estrattivo in ritardo, la cava di Monte Tondo a rischio chiusura tra 5 anni

Romagna | 17 Novembre 2022 Cronaca
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Riccardo Isola - Al di là della candidatura Unesco per il Parco della Vena del Gesso, su cui settesere si è ampiamente soffermato nel corso delle settimane, c’è una questione dolente che ancora rimane pendente e soprattutto fendente sulla testa dell’ambito produttivo legato al gesso nella valle del Senio. Si chiama Piae. 

COSASI DICE SUL PIAE 
Sul Piano Infraregionale delle Attività Estrattive (Piae), scaduto nell’ottobre di quest’anno, allo stato attuale non si sono ancora avute notizie in merito alla sua nuova approvazione quinquiennale. Se da una parte il mondo ambientale, e sembra sempre di più essere di questo avviso anche chi il nuovo Piae lo dovrà approvare, con deroghe annesse, quindi Provincia di Ravenna e Regione Emilia Romagna, vorrebbero che le cose non cambiassero rispetto alla situazione approvata nel 2017, dall’altra c’è la posizione della Saint Gobain. L’azienda sull’attività estrattiva nella cava Monte Tondo, in quanto la normativa della Regione Emilia Romagna non prevede l’ampliamento di cave esistenti in tutti i siti Natura 2000 di cui fa parte Monte Tondo, ci tiene a precisare che «tale divieto, secondo la stessa legge, non si applica però per le aree già in corso di approvazione alla data del 7 ottobre 2013. Dal momento che Cava Monte Tondo risulta autorizzata precedentemente alla suddetta data - hanno affermato più volte dallo stabilimento - l’azienda sta operando in maniera legittima rispetto al procedimento in essere, e ribadisce la necessità di ampliare il Piae al fine di estrarre ulteriori 2.400.000 metri cubi, nella prospettiva di investire anche in sostenibilità, ricerca e sviluppo ed economia circolare per il territorio». Non solo. La stessa Saint Gobain questa richiesta l’ha inviata agli organi competenti, la Provincia di Ravenna in primis, ormai tre anni fa senza aver mai avuto nessuna risposta in merito. Sta di fatto che né Regione né Provincia, su questo ambito, hanno ancora lanciato segnali chiari e netti su cosa intendano fare. Ma a complicare la questione c’è anche il fatto che i confini stabiliti da Rete natura 2000, nessuno, degli Enti preposti a farlo, intende spostarli o adeguarli. Da qui lo stallo complessivo della vicenda che sta facendo insorgere una guerra di trincea tra le parti.

CRESCE IL MALCONTENTO
Intanto però il malumore di chi si troverà sulla testa questa spada di Damocle, in primis le 110 famiglie legate all’attività della Saint Gobain, inizia a fibrillare. E chi potrebbe risentirne è la stessa candidatura a patrimonio Unesco visto che sindacati, agricoltori e altre categorie stanno comunque pensando di far valere le proprie opinioni e ragioni durante la visita della commissaria  (il 21 novembre ndr). In estrema sintesi operai e agricoltori rimarcano come «la candidatura deve essere un valore aggiunto e non una scelta che ne affossa altre, soprattutto alla luce del fatto che il Parco per il 90% è creato su proprietà private».  Lo hanno detto a più riprese e lo hanno confermato anche recentemente «tutela ambientale e sviluppo e mantenimento occupazionale non devono entrare in collisione, chi lo fa farà il male della Vena del gesso in pirimis».

LE INDISCREZIONI FINALI 
Quello che per ora si sa è che da parte istituzionale (Regione e Provincia) non ci sia nessuna intenzione di rimettere mano, sostanzialmente, alle decisoni prese ormai 20 anni fa. Se non per brevi e temporanee deroghe, vedi quella effettuata dall’Unione nelle settimane scorse per un anno ma ancora in attesa di via libera degli enti superiori. Una posizione quindi che non lascia molte possibilità ulteriori di sviluppo dell’attività di cava in senso generale. Questo, ovviamente, in un arco di tempo ancora fortemente incerto, si parla di uno, tre al massimo cinque anni, e che porterà alla chiusura dell’attività. Chiusura con conseguenze, occupazionali, sociali e quindi di tenuta territoriale intuibili. Situazione che genererà al sistema economico legato direttamente e indirettamente all’attività della Saint-Gobain un terremoto alquanto destrutturante. Non si parla solo di sconquassamenti sulla vita degli operai e dei dipendenti della multinazionale, ma anche e soprattutto delle realtà che operano nella manutenzione, approvvigionamento, trasporti e di conseguenza dei bar, dei ristoranti, dei negozi e quindi delle comunità stesse che da 80 anni hanno basato gran parte della loro ragion d’essere nella «civiltà del gesso».
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