Un viaggio da fare in tre giorni, ma per prendersela comoda meglio in quattro, nel Parco regionale da Imola a Faenza

Romagna | 09 Maggio 2021 Cronaca
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Sandro Bassi - Questa è la storia di un cammino, un lungo itinerario a piedi, di più giorni, nella natura. Visto che è l’anno del padre della lingua italiana magari non chiamiamolo trekking, anche se il concetto in effetti sarebbe quello: un lento viaggio fatto per il puro piacere di farlo, per vedere alberi, paesaggi, montagne.... e un percorso che collega due città belle, Imola e Faenza, attraverso la catena rocciosa che accomuna i rispettivi territori. Per la partenza e l’arrivo c’è il comodissimo treno.  

ITINERARIO – PRIMO GIORNO
Dalla Stazione di Imola si spacca tutto il centro storico con la direttrice che passa per piazza Matteotti: viale Costa, via Appia, viale Dante. Arrivati al Santerno si piega a destra per via Pirandello fino ad incrociare, 1 km dopo, l’arteria che farà da spina dorsale all’intera andata: il Canale dei Molini. Ne risaliamo la sponda di sinistra, poi quella di destra, in un paesaggio che da urbano si fa sempre più rurale, di campi e frutteti, con qualche villa con antico parco nobiliare. Il percorso è tranquillissimo perché, salvo un breve tratto su viabilità comunque secondaria e non trafficata, si svolge sempre sulla pista ciclopedonale di fondovalle Santerno appena ultimata: non è possibile citare tutte le località ma per interesse tipologico si notino i due molini, Paroli e poi Linaro, il bel tratto con filari di querce presso Pila Cipolla e infine la chiusa di Codrignano, ricostruita nel 1955 dopo che «furia di eccezionale piena» aveva travolto quattro anni prima l’originaria del 1860. Un colossale «albaràz» (pioppo bianco) ci indica la via giusta e dopo un’altra briglia con scivolo in cemento si comincia a vedere la meta, quel Borgo Tossignano che fino al secondo dopoguerra si limitava al caseggiato fiancheggiante la «Montanara» e che poi invece ebbe lo sviluppo che l’ha portato all’attuale configurazione. Si evita l’abitato con il verde lungofiume che passa di fronte all’enorme masso di gesso dietro al quale c’era la cava Paradisa, poi si la vista si apre sull’estremità occidentale della Vena, qui costituita da possenti dentoni di gesso, culminanti con Monte Penzola, isolati su gengive d’argilla.
Finito il parco lungofiume si giunge al cospetto di un ponte Bayley posto in opera (originariamente sulla Statale, poi smontato e trasferito qui) dalla divisione polacca «Kresowa» nel 1945: la struttura metallica è ancora integra ma l’assito no, per cui scavalchiamo il Santerno con il moderno ponte che ci porta sulla sponda sinistra: ci accolgono terrazzi fluviali con boschetti, in particolare l’ultimo, proteso sull’ansa più pronunciata sopra la quale sorge la Casa del Fiume, con centro-visite del parco e ostello.

SECONDO GIORNO
Con percorso diverso ma parallelo a quello di ieri sera si torna a Borgo e si sale a Tossignano Alta per scorciatoie fiorite che tagliano i tornanti dell’asfaltata. Dalla piazzetta si consiglia si prendere a sinistra le scalette che salgono alla chiesa (moderna, ma con Madonna su tavola a fondo oro di scuola bolognese del ‘300 e una Pietà in terracotta di un secolo dopo) e ad un giardino a conifere anni Sessanta: si può così vedere la Via Crucis di Biancini e ci si può affacciare verso la panoramica Riva di San Biagio; la forra del rio Sgarba (il Tramosasso) ci separa da essa, ma, sfiorati i ruderi della rocca distrutta nel 1537 da Paolo III Farnese e discesi al sentiero Cai 705, la si raggiunge costeggiandone il piede esposto a sud. Solo dopo mezz’oretta di salita si piega più decisamente a sinistra (è l’unico percorso segnato) per affrontare l’erta «direttissima» che con tratti tagliati nel gesso vivo sale al Passo della Prè (384 m). Qui comincia (destra) il su e giù per cresta panoramica, oltrepassando Monte del Casino (474 m) che è il più alto di una serie di gobbe dopo le quali scendiamo alla sella di Ca’ Budrio (454 m; rifugio).
Ora bisogna rimontare - attenzione se il fondo è bagnato - faticosamente ancora in cresta, sempre con il sentiero 705 che scavalca alcuni dossi «a promontorio» dove si vede bene la morfologia della Vena a declivi boscosi debolmente inclinati sul lato nord e pareti di roccia ripide e stratificate, talora verticali, su quello opposto. Alla chiesa di Sasso Letroso (quercia secolare, rosmarini, allori e piccola grotta utilizzata come camera mortuaria fino a settant’anni fa) si piega verso la strada, che va seguita in discesa sfiorando la dolina di Sassatello e arrivando a Borgo Rivola (fontana, bar, ostello presso la ex Casa Cantoniera); se si è stanchi, considerando che siamo solo a metà percorso per questo tratto, è meglio fermarsi; il rischio di annoiarsi è scongiurato dalla possibilità di visita alla Grotta del Re Tiberio.
Chi prosegue deve scendere sulla ex statale dal bar per 50 metri: la prima deviazione segnata a destra è quella buona e porta alla passerella sul Senio (95 m, punto più basso di tutta la Vena) dopodiché c’è 1 km e mezzo di inevitabile asfalto fino al borgo di Crivellari, dove ci si infila fra le case, quasi tutte restaurate, trovando il sentiero 511 che sale ripido fino al crinale presso Monte della Volpe (494 m). Ora comincia il tratto più bello, panoramico e movimentato fin oltre Monte Mauro, sempre con le falesie rocciose punteggiate di lecci - le macchie scure - e terebinti (una sorta di pistacchio selvatico) alla nostra destra. Scendiamo alla sella di Ca’ Faggia, poi risaliamo nel rimboschimento di conifere deviando a destra (occhio ai segnavia) per seguire ancora la cresta, bellissima, giungendo infine a Capanno Cavara (privato e chiuso), alla bocchetta di Ca’ Monti e infine alla Grotta di Monte Mauro e alla soprastante pieve, di origine molto antica (VI-VII sec.), ricostruita una ventina d’anni orsono. Ripreso il sentiero di crinale si arriva alla selletta ove i segnavia cominciano a tagliare il versante sud: si può così evitare la cima (o meglio: è consigliabile ma nel caso bisogna comunque tornare indietro alla sella) per doppiare anche la cima orientale e arrivare (tratti ripidi in discesa) all’inconfondibile voltata dove ci si addentra nel bosco del versante nord (querce, ornielli, carpini e aceri); un sentiero finale scende dritto a Cassano, sulla via Cò di Sasso all’incrocio con via Monte Mauro. Ora tocca seguire quest’ultima, su asfalto, e arrivati alla provinciale di fondovalle si va a sinistra fin poco dopo via Torre Mironi per voltare sul viottolo segnato ancora 511. Questo sale per campi fino alla chiesa di Vespignano, da cui a sinistra per un km immettendosi sulla via Castelnuovo che va seguita fino a trovare (attenzione) sulla destra i segnavia nel bosco che portano per sentiero assai bello fino all’ex Parco Carnè, oggi centro visite del parco. L’ingresso all’area protetta è tramite un vecchio cancello dopo il quale si va a destra raggiungendo in breve il rifugio.      

TERZO GIORNO
Dal rifugio si raggiunge verso est via Rontana, sul cui asfalto si percorrono 50 m per voltare alla prima curva, su strada ghiaiata fino a Ca’ Marana (quercia secolare): 100 metri dopo si volta a destra in discesa raggiungendo un’altra ghiaiata che va percorsa a sinistra raggiungendo il tornante della provinciale del Monticino da cui in breve si scende alla stazione di Brisighella.
Ora dobbiamo tornare verso il Carnè, ma con percorso diverso, per la piazza, via degli Asini, Torre dell’Orologio, periplo de La Valle fino alla Rocca, 70 metri lungo la provinciale e poi su al parcheggio del Santuario del Monticino ove entriamo nel Museo Geologico all’aperto ricavato dall’omonima ex cava. Sfiorata una rara carrellata di campioni rocciosi di tutte le formazioni geologiche locali si sale dritti fino a risbucare sulla provinciale: a sinistra per un km fino a Case Varnello ove si prende a destra il 505 (in caso si abbia finito l’acqua rifornirsi 50 metri più avanti al bar del Manicomio).
Inizia qui il ben noto percorso sul crinale calanchivo fra Lamone e Senio. Più che la descrizione naturalistica - si tratta peraltro di un pezzo meraviglioso e panoramico - serve precisare che ci sono due tratti esposti, non pericolosi ma vertiginosi: il primo è aggirabile (impiegando circa 40 minuti in più) scendendo a destra di Ca’ Vicchio fino a via Rio Chiè che va risalita fino al valico del Canazzeto; chi voglia evitare anche il secondo dovrà proseguire dal passo per scendere a destra nel fondovalle fino a voltare (vecchi segnavia biancazzurri che indicano il percorso ciclistico e nuovi C.D. cioè Cammino di Dante) ancora a destra per Casa Tombazzo raccordandosi infine con il 505 ormai in vista di Pideura. Il percorso «integrale» sul 505 è invece, ovviamente, più breve ed emozionante, ma anche per i non timorosi richiede attenzione. Il resto è stranoto: per La Berta e Castel Raniero si scende trionfalmente a Faenza.

Totale di circa 70 km suddivisi in 20 del primo giorno, 27 del secondo e 23 del terzo.      
Il Parco della Vena del Gesso, promotore di questo percorso, pubblicherà una guida dello stesso ed organizzerà escursioni guidate perlomeno “a pezzi”, tuttavia l’itinerario è già cartografato e verrà interamente segnato; chi se la sente può già ripeterlo autonomamente utilizzando la Carta dei sentieri 1:25.000 Parco Vena del Gesso Romagnola, Monti ed. 2021.
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Organizzate questi itinerari? E se è si come si può partecipare? Grazie
Commenta news 11/05/2021 - Doris
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