Tumore al seno, a Ravenna «disaffezione alla prevenzione solo nella prima fase del Covid»

Se in materia di controlli ginecologici, il Covid ha determinato una disaffezione rispetto alla prevenzione, le cose vanno meglio in ambito senologico. A dirlo è Andrea Sibilio, dirigente medico della Chirurgia senologica dell’ospedale di Ravenna, afferente all’Unità operativa complessa di Chirurgia Senologica di Forlì, diretta dalla dottoressa Annalisa Curcio.
Ricollegandoci al calo delle visite ginecologiche a causa della pandemia, in che modo la prevenzione del tumore alla mammella rischia di rallentare in un periodo come questo?
«Se l’anno scorso, nella primissima fase, abbiamo un minor afflusso delle pazienti a causa della paura del Covid, in questa seconda ondata la riduzione è rientrata. Questo si deve sia all’aumento di consapevolezza dell’utenza sull’utilizzo di dispositivi di protezione individuale e sui comportamenti idonei, che anche all’applicazione di protocolli che prevedono percorsi adeguati per la tutela delle pazienti».
Al di là delle attività di screening previste dai programmi regionali, ci sono pazienti che rischiano di restare fuori dai monitoraggi, sia per motivi organizzativi che per una minor propensione a farsi controllare?
«Sicuramente le donne più anziane, che sono al di fuori del programma di screening, essendo una categoria più fragile hanno mostrato più frequentemente una ridotta propensione a sottoporsi a controlli specialistici, soprattutto nella prima ondata. Se pensiamo che dopo i 70 anni una donna su otto può sviluppare un tumore alla mammella, anche se in genere le forme sono meno aggressive e le prognosi più favorevoli, capiamo che la prevenzione è importante sempre, in ogni fascia di età».
In che modo la Breast Unit può pagare lo «scotto” di una disaffezione alla prevenzione?
«In realtà l’attività diagnostica e chirurgica si è mantenuta a pieno regime, durante il Covid, grazie all’importante sforzo organizzativo messo in atto sia dalla nostra Breast Unit che a livello aziendale per tutelare le pazienti oncologiche anche in una circostanza così imprevedibile. Mentre la pandemia avanzava avevamo solo una percezione in itinere di quel che stava accadendo, ma i dati dei report annuali ci hanno confermato questa evidenza».
Guardando alla sua esperienza di chirurgo senologo, che cosa significa arrivare tardi a una diagnosi?
«In generale, significa poter avere un peggioramento prognostico e rischiare di dover sottoporre la paziente ad interventi chirurgici più demolitivi o a protocolli terapeutici medici più invasivi. Per fortuna, qui a Ravenna c’è un’adesione allo screening fortissima, a differenza di altri territori. E c’è sempre più fiducia, da parte delle pazienti, nella nostra Senologia: anni fa si verificava una diaspora verso altri ospedali, ora la questione si è affievolita». (s.manz.)