Sportello psicologico, il 20% delle chiamate arriva dagli "esterni"

Romagna | 10 Aprile 2020 Cronaca
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Silvia Manzani
Sono circa 150 le persone che, nel giro dei primi venti giorni dello Sportello psicologico attivato dall’Asl Romagna per fare fronte all’emergenza Covid-19, hanno chiamato dai territori di Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena per un consulto telefonico: «Le tre fasce di popolazione per le quali abbiamo pensato lo sportello - spiega la psicologa psicoterapeuta Rachele Nanni, referente del servizio - sono gli operatori sanitari, i pazienti positivi al Coronavirus e i loro familiari. Ma la risposta è stata più ampia. Circa il 20% delle persone che ci hanno contattato sono infatti cittadini che non rientrano in queste categorie ma che vivono con difficoltà l’isolamento domiciliare, magari manifestando ansia o oscillazioni emotive, anche se non coinvolte direttamente dal punto di vista epidemico. Lo avevamo messo in conto e ovviamente anche a loro diamo una risposta. In generale, quello che offriamo non è una presa in carico ma, appunto, un consulto che può anche diventare monitoraggio o invio ad altro servizio sulla base del bisogno che la persona esprime e della valutazione che noi facciamo». In alcuni casi, oltre al consulto telefonico o anche tramite altri strumenti di comunicazione digitale (laddove richiesta), si attivano anche altri canali come la mail, magari per l’invio di materiale psico-educativo o piccole esercitazioni da fare a casa, in casi più rari può rendersi necessario un colloquio diretto. Gli interventi telefonici sono prevalentemente momenti di ascolto, di supporto, di individuazione di strategie utili a vivere meglio la propria condizione, in qualche caso possono essere proposti semplici esercizi di rilassamento o concentrazione». Sono una trentina  i professionisti psicologi coinvolti: «C’è stata un’adesione importante da parte dei colleghi aziendali. Del resto, la letteratura internazionale ci dice chiaramente che in situazioni epidemiche come quella che stiamo vivendo, si registra una crescita del disagio psicologico nella popolazione che prosegue anche nei mesi e negli anni successivi. In questo senso, anche guardando al futuro, dobbiamo essere pronti a una crescita della richiesta e tenere conto della probabile necessità di potenziare servizi come quello in essere». In ogni caso, rassicura Nanni, nella maggior parte dei casi le persone hanno bisogno di un aiuto per attivare risorse che hanno già dentro di sé: «Fortunatamente le emergenze non hanno sempre esiti patologici o traumatici e dopo il picco di stress, la maggioranza delle persone rientra in una funzionalità positiva ed adattiva. Chiedere aiuto non significa dire “sono anormale”, “sto impazzendo” ma rendersi conto di avere qualche difficoltà nel far fronte ad una condizione anomala e certamente difficile per tutti: le capacità di resilienza delle persone, per fortuna, rendono la necessità un intervento clinico più strutturato non sempre necessario». Tra le persone che hanno telefonato, un terzo sono operatori sanitari: «Per loro non c’è solo il sovraccarico di lavoro ma anche la paura di contagiarsi e di essere veicolo di contagio per familiari e utenti, oltre al disagio di dovere assistere i malati senza poter contare sulle loro famiglie e di gestire i lutti in un modo diverso rispetto a prima». La fascia di persone che più spesso chiede il consulto va dai 35 ai 70 anni: «Per ora non ci sono né adolescenti, né giovanissimi. I numeri delle richieste sono consistenti ma non eccessive: anche questo lo immaginavano, nei momenti più acuti spesso si è così travolti che non si tende a chiedere una mano. Ci aspettiamo possano aumentare nelle prossime settimane e per questo stiamo già organizzando interventi mirati a diversi tipi di necessità».
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