Savio Silvagni e Imerio Calderoni del Comitato Feste e Sagre tra il ruolo sociale e le difficoltà di chi organizza i grandi eventi di Paese

Romagna | 14 Giugno 2020 Cultura
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«Si pensa sempre alle feste come a qualcosa di superfluo, ma poche volte si riflette su quello che le feste portano alle comunità in termini di socialità, volontariato, attività nelle parrocchie e servizi per bambini e famiglie. La festa è il momento più visibile, e certamente anche il più bello, di un’attività che va avanti tutto l’anno. Quindi credo sia giusto, nel contesto della ripartenza dopo l’emergenza sanitaria, ragionare anche su come tornare a mettere in piedi le nostre sagre». Mantengono i piedi saldi a terra senza porre limiti alla provvidenza - e soprattutto all’ingegno e alla laboriosità dei volontariato romagnolo – Savio Silvagni e Imerio Calderoni, presidente e coordinatore del Comitato Feste e Sagre, ente consorziale che raggruppa una trentina di associazioni volontaristiche romagnole (concentrate molto nel comprensorio faentino, ma con ramificazioni anche nel forlivese, nel ravennate e nella Bassa), responsabili di una cinquantina di feste che coloriscono il calendario degli eventi del nostro territorio.
«Fare una sagra, è più complicato della gran parte degli altri eventi, in contesto pandemico – dicono Silvagni e Calderoni -, perché alle nostre feste partecipano tutti, anche i soggetti più sensibili, e ci sono giochi, ristorazione, spettacolo e altro ancora».
Infatti, sulla possibilità di organizzare sagre nei prossimi mesi diciamo che l’ottimismo non è che regni sovrano…
«Certo, tant’è che a Pasqua avevamo ventilato l’idea di annullare l’intera annata sagristica. Giustamente però, ci sono anche gli ottimisti ed è giusto lasciare sempre la libertà di scelta a ogni associazione. Oggi poi sembra che la situazione sembra stia lentamente migliorando».
Quante delle vostre feste sono state annullate per Coronavirus?
«Ad oggi 12 giugno sono 14 feste e mezzo. Il mezzo è il Carnevale di Granarolo, del quale si è tenuta la sola sfilata domenicale, il 23 febbraio, con annullamento del Martedì Grasso. Sono saltate la Primavera in Fiore a Traversara, la Segavecchia a Cotignola, la Sagra della Campagna a Pieve Cesato, la Primavera di Pieve Corleto, la Musica nelle Aie a Castel Raniero, il Cinghiale di Zattaglia, il Raduno di Fossolo, la Fameja a Prada, il Palio di Barbiano, l’Ascensione a Solarolo, la Mugnega a Santa Lucia, la Primavera a Pian di Sopra, mentre il 12 giugno sarebbero dovute partire la festa di Sant’Andrea e il Mutor a Pezzolo».
Dopo toccherebbe a Errano e poi a Faenza si entrava, normalmente, in periodo di Palio…
«Il fatto che salti anche il Palio è la dimostrazione concreta, se mai ce ne fosse stato bisogno, che le ordinanze sono stringenti. Spiace molto per la festa di San Silvestro, che proprio quest’anno sarebbe ripartita con un nuovo gruppo e dovrà attendere un altro anno. Fino a fine luglio è improbabile che qualcuno voglia tentare di organizzare sagre, anche perché da poco ci sono i protocolli veri e propri. In agosto vedremo, probabilmente qualcuno vorrà provare».
Siamo abituati a ordinanze che disciplinano aperture e chiusure da un giorno all’altro, ma nel mondo dello spettacolo, e così nelle feste, sono altre le tempistiche. Nel vostro caso?
«Se per ipotesi domattina avessimo il via libera su tutto, saremmo già al limite per organizzare le feste di settembre. Normalmente si lavora un anno per l’altro, le feste vanno pianificate con calma e attenzione: ora è difficile se provarci oppure no. Nelle attuali condizioni, si tratterebbe di scommettere sul fatto che il virus sembra scemare e, usciti i nuovi protocolli, questo potrebbe far ritrovare in alcuni organizzatori la voglia di ripartire. Tutto, però, ha una tempistica; la preparazione delle minestre per tempo, il contatto con artisti e sponsor. Non è semplice. Su alcune feste potrebbe pesare il fatto che grandi eventi come San Michele a Bagnacavallo sono stati pre-annunciati per fine settembre, ma forse in forma più “contenuta” che in passato».
Qual è in questo momento il nodo principale da sciogliere?
«Ce ne sono tanti, primo fra tutti confrontarsi con i limiti imposti dai protocolli. Non si può però escludere che in autunno la situazione migliori, il che cambierebbe tante cose. Ora ci chiediamo quale sia la voglia della gente di andare a una sagra. Le persone hanno voglia di uscire, ma forse in questo momento attrae di più l’idea di un pic-nic tra amici, rispetto alle tavolate di una sagra. Dobbiamo capire quali siano gli orientamenti delle persone».
Quanti protocolli dovete rispettare?
«Di sicuro occorre fare i conti con l’assembramento, poi lo spettacolo dal vivo, i giochi dei bambini e la ristorazione, come punti di partenza imprescindibili. Con le attuali misure su mascherine e distanziamento è molto dura. Guardiamo con attenzione anche altre situazioni, per esempio l’annunciata apertura del Luna Park faentino. Anche per loro non sarà facile monitorare gli ingressi e far rispettare le distanze. Se dovesse funzionare e in luglio la situazione sanitaria migliorasse, beh, per noi sarebbe un bel segnale».
Monitorate la situazione, insomma…
«A tutti interessa vedere come andranno le cose. Io spero - continua Savio Silvagni- che tutte le attività riprendano a lavorare velocemente con i numeri di prima. Magari è superfluo dirlo, ma le associazioni di volontariato come le nostre non hanno incassato alcun contributo statale. E’ vero anche che il Comitato e le nostre associazioni non hanno dipendenti, ma le nostre attività, che spesso corrispondono a quelle delle parrocchie e delle associazioni, si sono fermate».
Organizzare feste in perdita è possibile?
«E’ improbabile, ma non va sottovalutata l’importanza di questi eventi per le comunità. Potendo organizzare una festa in sicurezza, ogni associazione deciderà cosa fare, facendo sempre attenzione a non rimetterci»
Ribadito che il Comitato non ha dipendenti, chi ci rimette di più dall’assenza di feste?
«Le associazioni con le loro attività, come dicevamo, e parliamo di animazione sociale, catechismo o anche asilo. Chi organizza feste nelle piccole comunità locali dovrà “tirare la cinghia” fino all’anno prossimo. Poi ci rimettono le comunità, perché la festa è un momento culminante della vita sociale. Sono occasioni che riflettono sempre un lavoro e un progetto portato avanti nella comunità e condiviso da tanti volontari. Nei piccoli paesi di campagna non è raro che i volontari della festa rappresentino il 50% degli abitanti. Queste occasioni di festa si rivolgono innanzitutto agli autoctoni e poi a chi ha voglia di “far festa”. E’ il senso di coesione del paese che rende attrattiva una festa anche per chi viene da fuori».
E l’indotto delle feste?
«In questo caso si tratta di lavoratori toccati direttamente dagli annullamenti delle sagre. Parliamo di musicisti, ballerini, animatori, comici, maghi e quant’altro. Ma parliamo anche di fornitori legati al mondo della gastronomia e non solo. Ci sono aziende sui cui bilanci lo stop delle nostre feste pesa un bel po’. E poi i volontari di una festa fanno i corsi d’aggiornamento (ci sono aziende che forniscono i tecnici per i collaudi), per non parlare dell’indotto pubblicitario, le affissioni e così via. Occorre anche ricordare come alcune attività del territorio traggano particolari vantaggi durante il periodo delle feste. Siamo un piccolo ingranaggio di un sistema economico a tutti gli effetti». (f.sav.)
 
 
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