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Sapori, l'oro bianco della Romagna casearia, tra Dop e presidi Slow

Romagna | 20 Marzo 2020 Le vie del gusto
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Riccardo Isola - In un periodo di limitazioni per la pandemia di Coronavirus, le persone hanno possibilità, rimanendo in casa, di fare spuntini, colazioni, pranzi e cene in cui la componente territoriale può acquistare sempre maggiore importanza nell’organizzazione quotidiana del proprio palato. Un mangiare sano e local che oltre a far bene alla salute ha risvolti concreti in quel comparto, l’agroalimentare, tanto strategico per l’economia nazionale. Non è un caso, infatti, che il Governo, nella persona dell’attuale ministro delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, nel Decreto «Cura Italia», abbia deciso di stanziare sei milioni di euro per non sprecare il latte fresco italiano. Un comparto che nel territorio romagnolo vede numerose aziende, sia grandi caseifici sia piccole aziende, che in questo momento non se la passano per nulla bene. Basti leggere lo sfogo su Facebook di una giovane produttrice casolana, Sara Venturini della Fattoria Scania di Settefonti, per capirne la portata e l’importanza: «I grossi caseifici non stanno ritirando il latte dalle stalle italiane con la scusante che essendo chiusi i bar non si vende più latte sfuso... ora il latte che si consuma nei bar per le colazioni è una quantità veramente ridicola, chissà perché da questi caseifici continuano comunque ad uscire trasformati, ora parliamo negativamente dell’Europa quando siamo noi i primi a non sostenerci, è assurdo!».
Materia prima strategica, il latte, non solo in quanto essenza liquida fondamentale per l’apporto di numerose proprietà nutrizionali (proteine, zuccheri, sali minerali, grassi) ma anche per la creazioni di prodotti trasformati di indubbio interesse organolettico e gustativo: i formaggi. E di formaggi la Romagna ne è testimone autentica portando sulle tavole italiane e non solo diverse tipologie, tra cui un presidio Slow Food (Raviggiolo dell’Appennino Tosco-romagnolo) e due Dop (Squacquerone, Fossa di Sogliano).
Vediamo i principali e più riconosciuti prodotti dell’arte casearia locale. In tutta la Romagna viene prodotto, da latte vaccino, un formaggio fresco a pasta molle denominato «Casatella romagnola» in cui la maturazione prima dell’immissione sul mercato avviene per una settimana in celle frigorifere alla temperatura di 4°C. Il suo sapore delicato e leggermente acido diventa ancora più marcato ma ingentilito nelle parti acide se degustata nella versione stagionata (circa un mese). Altro simbolo della produzione fresca è il «Raviggiolo dell’Appennino Tosco-romagnolo», oggi presidio Slow food ma sulle tavole dei romagnoli già a partire dal XVI secolo. Anche questo formaggio viene prodotto da latte vaccino e a differenza di altri la cagliata non viene rotta ma scolata per poi essere salata in superficie. La sua consistenza ricorda quella del burro mentre il sapore si caratterizza soprattutto per la sua delicatezza, quasi dolce. Lo si può trovare adagiato su rametti di felce maschio. E’ un prodotto fresco in cui i richiami lattici sono preponderanti con sfumature al sapor di nocciola. Questo è perfetto per essere consumato a colazione, come spuntino pomeridiano o come ingrediente fondamentale per il ripieno di alcune «minestre» (cappelletti, spoja lorda, tortelli). Poi, tra i freschi, arriva sua maestà lo «Squacquerone». Prodotto caseario a pasta molle, il suo nome è evocativo a tal riguardo, riconosciuto con la Denominazione nel 2012, si ottiene da latte vaccino. Tra i segreti della produzione c’è la cosiddetta «stufatura», cioè il rigirar con regolarità gli stampi contenenti la massa. Si immette sul mercato solo dopo qualche giorno e va consumato velocemente. Perfetto come ripieno per la piadina, focacce, fette di pane per crostini si caratterizza per la sua consistenza cremosa e liquida, con il sapore dolce e delicato che richiama il latte fresco pur riportando note acidule con punta erbacea. Per quanto riguarda i formaggi a pasta dura e friabile, oltre alle varie interpretazioni dei pecorini più o meno stagionati, nel riminese si produce l’«Ambra di Talamello». Si tratta di un formaggio di fossa stagionato, appunto, a Talamello. Il nome proveniente da Tonino Guerra che rimase ammaliato dalla colorazione assunta al termine della stagionatura ipogea. Si ottiene da latte ovino, caprino e vaccino e si caratterizza per un sapore molto intenso, a tratti piccante al palato. Per questa tipologia bisogna però fare attenzione nel consumo visto che è grasso e molto calorico. Ma il principe assoluto tra i formaggi stagionati è quello di «Fossa di Sogliano» (Dop dal 2009). Più che un tipo di formaggio questo però riguarda un tipo di affinamento e una stagionatura. Questi prodotti si ottengono da latte ovino e vaccino, la sua pasta è molto friabile ma con una spiccata succulenza, a seguito di una stagionatura nelle fosse del paese collinare di Sogliano sul Rubicone (Fc) per tre mesi. Tra le caratteristiche organolettiche le più spiccate sono la piccantezza, il richiamo a sentori amarognoli (mandorla e nocciole tostate) e di sottobosco, ma che arrivano ad acquisire sfumature di fungo e tartufo. Perfetto a fine pranzo o cena in accompagnamento con i grandi vini passiti e muffati di Romagna, è utilizzato anche come base per salse da utilizzare sulle paste locali tra le altre la più in voga è il passatello con fonduta di Fossa e scaglie di tartufo.
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