Ruggero Sintoni affronta le conseguenze del Dpcm che impone lo stop all’attività teatrale

Romagna | 01 Novembre 2020 Cultura
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Federico Savini
«Lo spettacolo dal vivo è cibo per l’anima e di questo abbiam bisogno come del pane e del salame. Lo abbiamo proprio toccato con mano in queste settimane, negli occhi del pubblico, che ora dovrà di nuovo rinunciarci». Ruggero Sintoni è l’ultima persona che ignora gli aspetti pratici ed economici della chiusura dei teatri (del resto è co-direttore di Accademia Perduta e ha ruoli di rappresentanza di settore all’Agis e all’Antac, di cui è presidente), ma a prevalere su tutto è il dolore - forse proprio lo sconcerto - per la durezza con la quale l’ultimo Dpcm anti-pandemico del Governo ha colpito alcuni fra i settori che più si erano distinti per la serietà con la quale avevano applicato i protocolli di sicurezza. «Questo decreto appare molto penalizzante per chi è in regola - sottolinea Sintoni - e vorrei sottolineare che le ricadute positive del rispetto delle norme sono in qualche modo dimostrate da una ricerca dell’Agis nazionale in base ai cui dati, fra giugno e settembre, i 350mila spettatori che hanno assistito a eventi teatrali hanno “prodotto” un solo contagio. È praticamente zero».
Le misure di sicurezza, insomma, funzionano?
«Sì, ma è altrettanto importante il comportamento del pubblico e quello dei teatri si è dimostrato sempre attento e responsabile, l’abbiamo visto in estate e nelle prime riaperture autunnali».
Tra l’altro osservare i protocolli ha un costo non indifferente…
«Assolutamente, già la capienza dei teatri è molto ridotta e questo mette in discussione la sostenibilità, poi si lavora sulle prenotazioni, le maschere accompagnano tutti al proprio posto, misuriamo la febbre a chi entra, sanifichiamo i luoghi e disinfettiamo il pubblico. E questo, voglio essere chiaro, non è un mero rispettare le normative. E’ nostra la convinzione assoluta che la salute sia la priorità di tutti, solo che il Dpcm penalizza proprio chi più si era messo in regola. Non solo noi, ma anche piscine, palestre e ristoranti, che io frequento e vengo sempre tracciato».
Il Dpcm viene contestato più che in passato e molti criticano la presunta idea che la cultura sia un settore più sacrificabile di altri. Pensate che sia così?
«Anche a me sembra che l’attenzione mediatica sul decreto sia più alta che in passato e credo che questo concorra a dimostrare l’iniquità del provvedimento. Riguardo alla presunta “sacrificabilità” della cultura non mi intrometto e non faccio processi alle intenzioni, limitandomi a dire che è il lavoro quello che va rispettato. Il lavoro permette di vivere e sostentarsi, qualsiasi lavoro».
Però di dover chiudere non ve l’aspettavate?
«No, il Dpcm lascia margine sulle responsabilità individuali, ad esempio sull’accogliere ospiti a casa, ma è molto duro su certi lavoratori, che si sono anche dimostrati molto scrupolosi. L’impressione è che a creare rischio siano ben altre situazioni, come i trasporti. Poi io non faccio il medico ed è giusto che queste cose le valuti chi ha la competenza per farlo. Posso solo dire che spero che le misure abbiano effetti, che i contagi calino e che si possa riaprire, perché in tantissimi ne hanno bisogno».
Si chiude quando c’era particolare voglia di ripartire?
«Nelle “APeRTure” che abbiamo potuto fare in queste prima settimane abbiamo visto un pubblico grato, anche particolarmente affettuoso, se posso dir così. In particolare al primo spettacolo di Bisio al Masini si respirava un clima molto caloroso, tanto più che c’era anche il neo-sindaco Isola, appena eletto, ed è stata una serata speciale, si sentiva nell’aria. Ora spero che il mondo della spettacolo al vivo tenga botta, lo dico alla romagnola per esser chiaro. Noi ce la mettiamo tutta e anche se ci siamo più volte inginocchiati, abbiamo la spina dorsale per rialzarci. Devo dire che sentiamo molto forte anche la solidarietà delle istituzioni».
Ora si ricalendarizza? Anche questo avrà un costo…
«Abbiamo già spostato a dopo il 24 novembre gli spettacoli in programma, quindi il pubblico potrà vederli. E anche questo comporta un ennesimo danno economico, un disastro che si aggiunge a una tragedia».
Si sa qualcosa di preciso sui ristori del Governo?
«Di preciso ancora no, ma posso dire che è giusto farli e che probabilmente andranno bene, se andranno a tutti i lavoratori dello spettacolo. Il problema però è che lo spettacolo dal vivo è una macchina complessa, che lavora su tempi lunghi e certezze. Non potendo programmare non si lavora e, ristori o meno, la situazione ci inginocchia. La nostra cassa integrazione, la Fis, copre solo il 52% di stipendi che non sono esattamente da milionari. Noi stiamo facendo lavorare ancora tutti perché ne hanno bisogno per vivere».
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