Rugby, Faenza ha due sogni nel cassetto: «La Serie B e nuovi progetti nel sociale»

Romagna | 08 Novembre 2022 Sport
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Tomaso Palli
Il legame tra rugby e Faenza è un qualcosa che parte da molto lontano nel tempo, poco affine allo sport ma strettamente legato a coloro che, storicamente, sono considerati i più forti di tutti con la palla ovale. E quindi serve andare indietro nel tempo, più precisamente alla Seconda Guerra Mondiale. «Faenza fu liberata, a fine ‘44, dalla brigata Maori - racconta Andrea Sirotti, fondatore e presidente del Faenza Rugby - e, ancora oggi, continuano ad esserci commemorazioni legate a questi neozelandesi. Eppure, a Faenza, non esisteva nulla legato al rugby e mi è sempre sembrato strano che nessuno avesse avuto l’idea di portarlo». E così, dopo una carriera sportiva divisa tra tennis e calcio e l’amore per il rugby scoppiato solamente durante i tempi universitari, Sirotti, insieme ad alcuni amici, si mette in testa l’idea di portare il rugby nella città manfreda. «Nel 2007 - prosegue - frequentando il Parco Bucci con mio figlio, svegliai un ragazzo che dormiva con una palla da rugby sotto la testa scoprendo, con grande sorpresa, che lui, insieme ad altri 12/13 compagni, si allenava proprio in quel parco, una volta a settimana, con un allenatore dell’Imola rugby. Io non sapevo assolutamente nulla (sorride, i)». Sembra la trama di un romanzo ma, di fatto, non è così perché una volta conosciuti tutti i ragazzi, l’entusiasmo è cresciuto e «dopo aver ottenuto il via libera per allenarsi al campo C della Graziola, indissi un primo allenamento. Senza social, ma solo col porta a porta».

CALCIO D’INIZIO
Serviva solo capire quale fosse il riscontro della comunità verso uno sport che in Romagna non aveva una storia. «Era fine aprile del 2007 e fu un successo incredibile: 25 persone il primo giorno e, grazie ad una cadenza regolare, i numeri aumentarono». L’allenamento, però, non bastava più ma quale sarebbe stato il passo successivo per un gruppo di amici che condividevano una passione? «Nella mia testa - prosegue Sirotti - l’idea era di organizzare solo amichevoli, nella stagione successiva, per cercare di costruire qualcosa di concreto perché, oltre ad avere ragazzi che non avevano mai giocato, non c’era nemmeno una struttura omologata. Ma ho presto scoperto che, se non avessimo fatto il campionato, sarebbero andati via tutti. E quindi sì, sono stato obbligato dagli stessi ragazzi (sorride, ndr)». In poco tempo, con l’aiuto di molti, è nato il Faenza Rugby capace di costruirsi, in autonomia, il proprio campo. «Il primo anno abbiamo vinto solo una partita, il secondo cinque e dal terzo ci siamo lanciati». Partite, agonismo e prime rivalità. La prima, e probabilmente la più sentita, è ancora quella con la vicina Ravenna: «Fin dal primo anno, abbiamo organizzato la Coppa Lamone: una sfida, divenuta tradizione, dove viene messo in palio un trofeo. Le prime volte, anche grazie a una maggiore esperienza, hanno vinto loro. Ma poi è sempre rimasta a noi, e lo dico con un certo orgoglio».
IL FUTURO
Se il passato non è in grado di raccontarci molto altro, nel futuro del Faenza Rugby ci sono due grandi obiettivi: quello sportivo, di rilievo per una realtà agonistica, e quello legato al collettivo perché «credo molto nella funzione sociale dello sport». Due step di crescita, entrambi nel gradino più alto per importanza, che sperano di trovare realizzazione nel medio periodo. «L’obiettivo è di creare una piattaforma che, nel giro di due o tre anni, ci permetta di andare in B, oggi siamo in C1. E questo lo dichiarano i ragazzi. Il mio obiettivo è di crescere e diffondere sempre più la cultura del rugby». Un progetto che non può non tener conto del settore giovanile: «Per molti anni abbiamo avuto fino a 300 tesserati con tutte le squadre presenti, dall’U6 all’U18. E proprio questi ultimi, qualche anno fa, ci hanno regalato il nostro migliore risultato con la vittoria del campionato regionale. Oggi, dopo la pandemia, siamo molto diminuiti e i settori giovanili, non solo il nostro, sono stati decimati. Tendenza opposta nel minirugby (fino ai 14 anni, ndr) che è molto florido. E questo bacino molto numeroso di U15 ci fa ben sperare in vista delle prossime stagioni». Secondo aspetto, non per importanza, è la funzione sociale dello sport, portata avanti come un mantra: «Stiamo implementando un progetto con ragazzi fragili, arrivati in Italia dopo problematiche di diverso tipo. Ho avuto l’adesione, grazie alla collaborazione con una cooperativa, di 18 ragazzi di etnie e lingue diverse che si alleneranno con noi. Personalmente, portarne anche solo qualcuno in prima squadra sarebbe una cosa meravigliosa». Perché il rugby è tutto questo, e molto di più. È rispetto delle regole, fierezza d’animo, sostegno senza mai piegare la testa. Ma è anche rispetto del prossimo, tifo e tifo per la propria squadra senza mai sfociare in qualcosa che vada oltre il semplice sfottò per l’avversario. E poi, quel terzo tempo. Tutti insieme. In un pomeriggio di sport. Alternativo per molti, la quotidianità per chi vive la palla ovale. 
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