Riolo, sorprese archeologiche e botaniche per la «Tana del Re Tiberio» che riapre al pubblico

Romagna | 12 Settembre 2022 Cronaca
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Sandro Bassi - Ha riaperto la Grotta del Re Tiberio al pubblico. Va precisato innanzitutto che il tratto visitabile è solo una minima parte (circa 60 metri) della complessa e sviluppatissima (oltre 4 km) grotta naturale omonima, il cui ingresso è ovviamente noto da sempre, ma le cui parte interne sono state esplorate in fasi diverse, a partire da metà Ottocento: gli archeologi che scavarono nell’ingresso e nella galleria iniziale, in primis l’imolese Giuseppe Scarabelli, non si spinsero oltre la grande «Sala Gotica» dove termina anche l’odierno percorso turistico, ma nel 1870 qualcuno - mai si è saputo chi - raggiunse il fondo del cunicolo che prosegue per circa 300 metri oltre la sala; costui doveva essere animato da intenzioni esplorative che possiamo definire di «speleologia pura» perché si avventurò nell’ignoto, strisciando tra strettoie fangose, fino a raggiungere una parete dove tutto terminava e dove lasciò incisa la data 1870. Circa trent’anni fa, invece, iniziarono le esplorazioni dei nuovi rami da parte degli speleologi di Mezzano i quali scoprirono un «altro mondo», fatto di pozzi, tratti semi-allegati, meandri e altri ostacoli naturali, per un totale appunto di oltre 4 km «difficili» e quindi riservati a speleo ben attrezzati appositamente.  
Ma veniamo ai motivi di interesse odierni, che sono essenzialmente archeologici e più in generale ambientali, legati soprattutto al gran numero di antiche vaschette scavate nel gesso vivo del pavimento e delle pareti. Si tratta di contenitori d’acqua di stillicidio realizzati in epoca protostorica (a partire da metà circa del I millennio a.C., età del Ferro) a scopo sacrale e votivo: le acque di grotta erano considerate terapeutiche, panacea per una serie infinita di mali, e «pazienti» del più vario tipo accorrevano qui in pellegrinaggio per bere l’acqua o per cospargere con essa arti doloranti, piaghe, ferite. L’acqua veniva probabilmente distribuita da sacerdoti e i fedeli lasciavano offerte votive (bronzetti, vasetti miniaturizzati, ecc.), non molto diversamente da come avviene ancor oggi a Lourdes, ad esempio. L’uso sacrale della grotta durò fino a tutta l’età romana, quindi almeno fino al III sec. d.C., dopodiché ci furono usi successivi, anche curiosi come quello di rifugio per falsari che cercarono di battere monete riciclando il materiale dei bronzetti ancora presenti in loco.  
L’altra grande branca di ricerche scientifiche riguarda i botanici, perché nel cavernone iniziale vegetava una felce, Asplenium sagittatum, che aveva qui l’unica sua stazione italiana nel versante adriatico. Già rarefatta dalle cospicue raccolte di «cercatori» provenienti da mezzo mondo (sono stati rintracciati campioni in moltissimi erbari universitari europei, perché il luogo era noto, circoscritto e facilmente identificabile), la felce si estinse negli anni Sessanta del ‘900 per l’esaurimento dell’apporto idrico, a sua volta causato con tutta probabilità dagli scavi della soprastante cava. Ancora presente sulle rocce circostanti l’ingresso è invece l’altra felce, la più celebre Cheilanthes persica, che resiste bene all’aridità e che probabilmente non si è mai estinta anche se vari fattori legati all’attività di cava la fecero ritenere tale.
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